giovedì 17 novembre 2016
Milano, 15 novembre – Le cinque del pomeriggio. È stata una giornata grigia, quasi fredda. In realtà, mi dico rincasando, ciò che mi immalinconisce del tardo autunno non è il freddo, né la pioggia, e nemmeno la nebbia – che trovo avere invece una sua sulfurea grazia, nel cancellare ogni cosa e poi restituirla, intatta. Quello che mi rattrista di novembre è il ridursi dell'arco delle ore di luce: la oscurità che scende ogni giorno prima, e si stende sulla città ancora vivace e in movimento, come un sipario tirato anzitempo. Come una coperta rimboccata, quando è troppo presto per andare a dormire.
Guardo lo stentato albeggiare al mattino, il sole pallido che si fa strada fra la foschia, adagio, come uno che non voglia levarsi dal letto. E le nostre ombre, per strada, sbiadite sull'asfalto. C'è un declino che sembra un sonno, come un torpore che si impadronisca del mondo. Ma tutto sta, credo, in questa luce declinante e avara, che stringe e lesina i minuti del giorno. E quando, a dicembre, il sole tramonta prima delle cinque, mi pare quasi che l'universo intero stia cadendo dentro una notte profonda.
E tuttavia, proprio nel cuore della vittoria del buio nelle nostre città compaiono le prime luci del Natale; nei negozi, nelle strade, nelle case si accendono bagliori, scintillii di oro e di argento. In un crescendo, fino a quando anche i bar più modesti delle periferie decorano l'insegna con una collana di lumini intermittenti.
Come se nel fondo del buio crescesse un'ansia di luce. Crediamo di ornare semplicemente le nostre città per il Natale, ma intanto con ogni lampadina contrastiamo quella notte che ci avvolge. L'oscurità ancora si allarga, come un esercito occupante che si accampa, mentre il freddo aumenta, quasi che davvero la Terra se ne andasse fuori dall'orbita intorno al Sole. Fino a quando, il 21 dicembre, solstizio d'inverno, il miracolo: impercettibilmente la luce ricomincia a guadagnare terreno.
Quasi a fatica, dapprima, negli uggiosi giorni di gennaio, tanto che non ce ne accorgiamo. Lo scopriremo quasi per caso, in un pomeriggio di fine febbraio: guarda, quasi le sei, e non è ancora buio. E farà probabilmente più freddo che in questa sera d'autunno, eppure tutto comincerà a cambiare. Nelle notti ancora rigide, i primi uccelli cominceranno a cantare, all'alba.
Intanto oggi, 15 novembre, siamo sulla china della notte che cresce, e confonde sempre prima i profili delle città, e colma la campagna di notte cieca. Ma ancora pochi giorni, e le prime luminarie di Natale splenderanno. Rare magari all'inizio, isolate. E poi via via più diffuse, nell'imminenza della festa. A che cosa allude questa voglia di luce nel cuore buio dell'inverno? A un'assenza, e quindi a un'attesa, a un desiderio. Magari assolutamente inconscio. L'ansia, nell'oscurità, di una gran luce, che dovrà infine sorgere.
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