martedì 21 giugno 2011
La goccia di pioggia rimase pura finché non toccò terra. Nell'attimo in cui ciò avvenne, essa divenne una goccia di fango. Anche l'uomo è puro nelle sue origini, ma il male del mondo lo corrompe.

Ho anch'io, credo come molti lettori, una piccola folla di parenti, amici e conoscenti che si chiamano Luigi. A loro e a tutti quelli che portano questo nome vorrei dedicare un augurio perché, come è noto, il calendario oggi commemora il primogenito del marchese di Mantova, Luigi Gonzaga, dalla vita breve (1568-1591), vissuto dai 16 anni in avanti nella Compagnia di Gesù fino alla morte nel servizio agli appestati. Nella devozione popolare egli è il santo della purezza e il candore del giglio ne è divenuto il simbolo. Io, però, sono ricorso a un testo di un autore remoto per cronologia e per civiltà: è l'indiano Kabir Das, nato forse nel 1398 e secondo la leggenda vissuto quasi 120 anni. A lui era cara quest'immagine della goccia di pioggia, tant'è vero che in un altro suo detto si afferma che «quando cade in bocca al serpente essa diventa veleno e quando invece stilla sul tronco del banano diventa canfora».
Il suo ottimismo sulla genesi dell'uomo, che sarebbe appunto una goccia celeste, si differenzia dalla visione biblica del peccato originale. È vero, però, che il giusto per conservare la sua coscienza pura deve lottare contro le seduzioni del male. Come si legge nel Salmo 1, «beato è l'uomo che non segue il consiglio degli empi, non indugia sulla via dei peccatori, non siede in compagnia dei malvagi, ma trova il suo piacere nella legge del Signore». Anzi, il libro della Sapienza sembra quasi anticipare il ritratto di san Luigi: «Divenuto caro a Dio, fu amato da lui e poiché viveva tra i peccatori, fu trasferito. Fu rapito perché la malizia non ne mutasse i sentimenti…» (4, 10-11). E di scena è proprio un giovane morto prematuramente, una goccia limpida che non divenne fango.
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