giovedì 14 novembre 2019

Chiudo la preparazione di una mostra fotografica su Leonardo da Vinci e rimango stupita. Si affronta un personaggio pensando di conoscerlo già e invece, entrando nelle pieghe del suo vissuto, scopri nuovi agganci, nuove relazioni.
Negli ultimi anni di vita Leonardo dedicò molti disegni alla fine del mondo, accompagnati da scritti dal sapore profetico variamente interpretati. Il disegno finissimo, e a prima vista incomprensibile, narra di una sorta di ribellione della natura contro l'uomo lontano da Dio ed è accompagnato da 117 profezie che descrivono in modo solenne scene apocalittiche: «Corpi senz'anima per se medesimi si moveranno, e porteran con seco innumerabile generazione di morti, togliendo le ricchezze a' circunstanti viventi». Poteva esser certo influenzato dal Savonarola, incontrato a Firenze, oppure dagli scritti di Pico della Mirandola, ma certo è che Leonardo confidò nella misericordia del Salvatore e credette nell'esistenza di un'armonia universale presente anche nell'apparente caos della fine del mondo. Basterebbe sfogliare il suo testamento, venuto alla luce soltanto nel Settecento: egli organizza meticolosamente le sue esequie, chiede la presenza dei cappellani e dei frati minori e un corteo di sessanta poveri, reggenti ciascuno una torcia. Vuole la celebrazione di tre messe solenni, (ovvero cantate con diacono e suddiacono), e di trenta messe “basse” (officiate da un prete con uno o due chierichetti). Sceglie anche i luoghi: le messe si celebrino a San Gregorio, a Saint-Denis e nella chiesa dei francescani. Racconta il suo fedele amico e allievo, Francesco Melzi, come, nonostante la gravità della sua malattia, volle confessarsi e ricevere in ginocchio il Santo Viatico. Si aggrappò alle braccia del Melzi e di Villanis, suo fido servitore, per potersi inginocchiare, mentre calde lacrime accompagnarono questo gesto, tanto grande nella sua semplicità. Cade così il mito di un Leonardo “laico”, poco incline al fatto religioso, stravagante e solitario. Preparare questa mostra, che dal 6 dicembre al 31 gennaio sarà possibile visitare a Palazzo Scarpa, sede del Banco BPM di Verona, è stata un'intensa meditazione sulla vita. Su quel presente che, come scrisse acutamente Leonardo, è come l'acqua che tocchi nei fiumi: è l'ultima di quella che andò e la prima di quella che viene. Così l'attimo presente è l'unica occasione che abbiamo per vivere pienamente, intensamente, gratuitamente. Non c'è altro. Una vita così non s'improvvisa, ma corre dentro il filo della verità cercata con scrupoloso sguardo e apertura di cuore ché, direbbe l'artista vinciano, la verità al fine non si cela.

Metto il punto sulle ultime correzioni dei pannelli e resto a guardare il volto del Cristo nel Cenacolo. Lo sguardo si fissa su quel chiodo impressionante ritrovato nell'ultimo restauro, un chiodo posto vicinissimo all'occhio destro di Gesù: da lì partono tutte le direttrici della grande sala al piano superiore in cui è collocato il Cenacolo vinciano. Da quel punto di fuga corre la linea d'orizzonte che abbraccia tutte le teste degli apostoli. Tutte meno una: quella di Giuda. Non perché fosse predestinato al tradimento, ma perché si sottrasse volontariamente a quella luce di verità e di misericordia che l'avrebbe liberato da se stesso, anche dall'angoscia per il tradimento. Che si possa anche noi restare sotto questo sguardo di luce. Che dalle crepe del nostro peccato possa filtrare sempre quella luce di misericordia che consola e perdona.

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