giovedì 18 febbraio 2016
Milano, febbraio – La mia stanza dà su un cortile. Sono le dieci di mattina di un mercoledì, e fuori piove. Io me ne sto immobile, il gesso a un piede. Una mattina perfettamente silenziosa. Ma, in questo silenzio, mi accorgo di fare caso a deboli rumori: la pioggia in cortile, monotona, lo sgocciolio d'acqua dentro un pluviale nel muro – come se la casa deglutisse – e dei passi leggeri, dal piano di sopra. Tendo l'orecchio: ora mi arriva dalla cucina anche il brontolio operoso della lavastoviglie. E dalla strada, oltre il cortile, il rombo dell'autobus 43, che corre verso il centro. Un clacson, smorzato. Poi un lontano clangore di ferro: in strada, degli operai scaricano qualcosa di metallico. Tutto è ovattato dalla quiete spessa del vecchio cortile di una casa di inizio Novecento, coi muri esposti a nord coperti di edera, e, in centro, una magnolia che si sforza di crescere, nell'aria polverosa di Milano. Mi piace ora cercare di cogliere gli echi della città, attorno. Appena udibile, il rombo di un aereo che si allontana da Linate – chissà per dove, mi chiedo. Vicina, improvvisa, dalle finestre di fronte, la voce acuta di un bambino piccolo, e quella di una donna, rassicurante. Alle undici, esili, delle campane battono l'ora. Poi, pioggia e nient'altro, come in una pozza di quiete. D'improvviso mi accorgo che qualcosa è cambiato. Tendo di nuovo l'orecchio. Ha smesso di piovere. Ma non è questo che ha destato la mia attenzione. È che il merlo che abita sulla magnolia del cortile, come la pioggia è cessata, si è messo a cantare. Il suo fischio contento colma il cortile. Merlo ottimista, mi dico: è appena la metà di febbraio. Ma il suo canto mi intenerisce. Con la fine della pioggia mi pare di avvertire, dalla mia stanza, che la gente ha voglia di uscire. Sento l'ascensore che prende a andare su e giù, e cani in portineria che abbaiano – li immagino, che tirano impazienti il guinzaglio. Dal cortile la voce del postino: «Custode? Custode?». La custode non c'è, ma fra mezz'ora, quando il cortile sarà asciutto, riconoscerò il rumore della sua ramazza di saggina che spazza l'asfalto. Rumore tipicamente feriale, piccolo segno di una città che, attorno a me immobile, lavora. Come le saracinesche dei negozi, che a mezzogiorno e mezza caleranno, in un fragore di ferraglia, sulle vetrine. Nostalgia di Milano, del lavoro, delle voci degli altri, di cui mi arrivano solo flebili echi. Conto quanti giorni mancano alla mia liberazione. Non so cosa darei per potere andare, semplicemente, a bere un caffè al bar qui sotto; o, e sarebbe meraviglioso, al mercato, a riempirmi gli occhi di colori, ad annusare il profumo delle arance, e del pesce.Nel silenzio di questa mattina prigioniera vedo ciò che non riconosco da sana: la quieta bellezza di una città come tante, che in un mercoledì qualsiasi semplicemente vive, e lavora.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI