giovedì 6 ottobre 2022
Dalla Nuova Zelanda al Canada fino all’India: in molti Paesi si stanno aprendo nuovi spazi politici per i popoli autoctoni. Una svolta non sempre rivoluzionaria
La presidente dell'India, Draupadi Murmu

La presidente dell'India, Draupadi Murmu - Ansa

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Negli ultimi due anni, nonostante se ne sia parlato poco, è emerso un fenomeno che merita attenzione: il successo politico che i popoli indigeni hanno conseguito in vari paesi, Bolivia, Canada, Nuova Zelanda e Stati Uniti. Il fatto che in tutti i casi si tratti di donne, conferisce al fenomeno un tono ancora più particolare. Nanaia Mahuta è la prima esponente del popolo maori a diventare Ministro degli Esteri: un primato assoluto per gli indigeni del pianeta. Parlamentare in varie legislature a partire dal 1999, la donna aveva già ricoperto numerose cariche governative, fra le quali quella di Ministro degli Affari Maori nel primo governo guidato dalla laburista Jacinta Ardern (2017-2000). La sua nomina (6 novembre 2020) è stata accolta da reazioni contrastanti: da una parte l’ovvio entusiasmo della minoranza indigena, dall’altra le dure critiche di certi ambienti conservatori. La più esplicita è stata quella di Olivia Pierson, autrice del libro “Western Values Defended: A Primer”, che ha criticato aspramente il moko kauae, il tradizionale tatuaggio del mento esibito dal neo-ministro, definendolo «rozzo e incivile per un ministro del ventunesimo secolo».

Nanaia Mahuta, ministra degli Esteri della Nuova Zelanda

Nanaia Mahuta, ministra degli Esteri della Nuova Zelanda - Ansa

Percorrendo circa 11.000 km verso nordest arriviamo in Bolivia, dove gli indigeni raggiungono il 60% della popolazione. Nel 2005 era stato eletto il primo presidente indigeno, il sindacalista ay-mara Evo Morales. Confermato varie volte, rimasto in carica fino al 2016, Morales ha varato alcune misure che hanno ridotto drasticamente la povertà e l’analfabetismo. Negli ultimi anni della sua presidenza è stato duramente contestato, ma in ogni caso ha lasciato una Costituzione esemplare che enfatizza il carattere plurinazionale del Paese, riconoscendo 36 lingue indigene accanto allo spagnolo. È grazie a questo quadro sociale che si è affermata Sabina Orellana Cruz, la sindacalista quecha che il 20 novembre 2020 è diventata ministra delle Culture, della Decolonizzazione e della Depatriarcalizzazione. Il dicastero è nato con lei, che ha sottolineato l’intenzione di impegnarsi anche a favore delle donne, penalizzate da un maschilismo istituzionale plurisecolare.

Il 16 marzo 2021 Debra Anne (Deb) Haaland, appartenente al popolo pueblo, è stata eletta Ministro degli Interni nel nuovo governo guidato da Joe Biden. Diversamente da quello che accade in Bolivia e Nuova Zelanda, negli Stati Uniti i popoli indigeni (Indiani e Inuit) godono di diritti molto limitati e costituiscono una percentuale minima della popolazione (2,1%). Di conseguenza hanno un peso politico insignificante. Questo limita il loro potere di contrastare l’aggressione delle multinazionali che cercano di sfruttare i loro territori senza il minimo rispetto per le loro credenze religiose e per l’ambiente.

Mary Simon, Governor general del Canada

Mary Simon, Governor general del Canada - Ansa

Ningiukudluk, meglio nota come Mary Simon, figura storica del popolo inuit, è stata nominata Governor General del Canada il 6 luglio 2021. Questa carica indica il rappresentante della regina britannica nella federazione nordamericana (il Canada, ex colonia britannica, fa parte del Commonwealth). Anche in questo caso è la prima volta che la carica viene conferita a un rappresentante indigeno. In passato Mary Simon aveva ricoperto numerose cariche, inclusa quella di ambasciatrice canadese in Danimarca (1999-2002).

Nel suo complesso l’affermazione politica dei popoli indigeni è un fenomeno positivo, ma è sbagliato pensare che implichi automaticamente una maggiore affermazione dei loro diritti. In certi casi, infatti, la convivenza col potere impone dei compromessi che gran parte dei popoli interessati non accetta. Questo determina divisioni interne più o meno dolorose. In altri casi, invece, è il potere stesso che sposa certe cause indigene per motivi strumentali. Un esempio recente viene dall’India, dove le elezioni presidenziali del luglio scorso hanno sancito la vittoria di Draupadi Murmu, prima adivasi (indigena) a ricoprire questa carica. Adivasi è il termine hindi che indica collettivamente i popoli aborigeni dell’India, stanziati in prevalenza negli stati centrali e orientali della federazione. Questi popoli sono circa 250, ma la Costituzione ne riconosce soltanto 212, che vengono ufficialmente definiti “tribù catalogate”. Secondo un criterio linguistico questo eterogeneo insieme di popoli viene diviso in 4 gruppi: dravidico, munda, mon-khmer e tibeto-birmano.

Nel 1958 l’allora Primo Ministro Jawaharlal Nehru aveva lanciato un programma che riguardava lo “sviluppo dei popoli tribali”. Questo programma, che si basava sulle teorie dell’antropologo inglese Verrier Elwin, prevedeva il minor intervento esterno possibile. Gli Adivasi, cioè, devono esser lasciati liberi di evolversi secondo la loro natura; gli operatori sociali e gli attivisti impiegati nei vari progetti devono appartenere al popolo in cui operano; è previsto uno scrupoloso rispetto dei loro diritti territoriali. Nonostante queste buone intenzioni e gli stanziamenti fatti, gli interventi di vario tipo si sono rivelati fallimentari, lasciando gli indigeni ai margini della società.

Secondo il censimento del 2011 gli Adivasi raggiungono complessivamente i 104 milioni (8,6% della popolazione). Alcuni popoli contano poche migliaia di persone, mentre altri arrivano a qualche milione. Al più numeroso, quello dei Santal, appartiene la nuova presidente Draupadi Murmu. Il fatto che la donna militi nel partito del premier Narendra Modi (Bharatiya Janata Party, Bjp), noto per la sua intolleranza verso le minoranze e per la sua islamofobia, può sembrare strano, e in effetti ha generato molte perplessità su di lei. Secondo Medha Patkar, figura storica delle lotte popolari indiane, «il Bjp ha schierato la leader tribale Draupadi Murmu come candidata presidenziale solo perché la sua comunità costituisce una parte importante del suo elettorato, ma il partito non sostiene gli Adivasi».

In pratica bisogna tenere conto di due esigenze coincidenti. Da una parte, molti indigeni cercano di legarsi al potere sperando che questo permetta loro di uscire dalla marginalità e affermare i propri diritti. Dall’altra, il Bjp cerca di accreditarsi come paladino delle minoranze. Il 15 novembre 2021 il premier Modi ha festeggiato pubblicamente l’anniversario della nascita di Birsa Munda (1875-1900), un indigeno che aveva lottato strenuamente contro il colonialismo britannico. In quella stessa occasione il premier ha inaugurato un museo dedicato a lui. Originario dell’ex Bengala britannico, Munda è così importante che nel 2000, centenario della sua morte, è stato creato in suo onore lo stato federato dello Jharkand. Modificando il proprio atteggiamento verso le minoranze il governo di Delhi cerca di favorire l’avvicinamento agli Stati Uniti, sia in funzione anti-cinese che come membro della Quad Vaccine Partnership, l’iniziativa lanciata da quattro paesi (Australia, Giappone, India e Stati Uniti) per combattere la pandemia nell’area indopacifica.

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