sabato 16 aprile 2016
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Gentile direttore, lo scorso martedì 12 aprile su Avvenire è stata pubblicata una lettera del signor Romolo Scozzi che critica il modo in cui a “Restate scomodi”, trasmissione di informazione quotidiana di Radio1, avremmo trattato il tema dell’eutanasia, dando voce a Peppino Englaro, senza alcun contraddittorio. Ci teniamo pertanto a precisare che: 1) la trasmissione non era dedicata all’eutanasia, ma alla sentenza del Tar che impone alla Regione Lombardia di risarcire la famiglia Englaro con circa 150mila euro per i danni subìti in seguito al rifiuto dell’allora Giunta Formigoni di rispettare una sentenza della Corte d’appello di Milano. Il signor Englaro e la conduttrice hanno sottolineato più volte che il caso in questione non rientra nel dibattito sull’eutanasia. 2) Il signor Englaro al termine della trasmissione è stato ringraziato non «per l’impegno che mette nella difesa dell’eutanasia», come affermato nella lettera, ma «per l’impegno e il dolore che ha attraversato negli ultimi anni». È un concetto molto diverso. 3) Il signor Englaro ha poi precisato che, secondo una sentenza della Cassazione basata su studi nazionali e internazionali, l’alimentazione forzata è da considerarsi una terapia. Il tutto per ribadire che il caso di Eluana è per le sentenze una vicenda che riguarda l’autodeterminazione terapeutica e non, appunto, l’eutanasia. A “Restate scomodi” ci sforziamo di raccontare la realtà attraverso storie concrete, lontano da ideologismi e tattiche politiche. In questo spirito siamo aperti a qualsiasi rispettosa considerazione.  Mario Vitanza (curatore) ed Eleonora Belviso (conduttrice) di “Restate Scomodi” Radio1 Rai Apprezzo Radio1 e chi la dirige. Penso che “Restate scomodi” sia un bel programma. Conosco e stimo da anni Mario Vitanza. Non conosco, anche se ogni tanto ascolto, Eleonora Belviso. So che è una professionista capace e seria, ma non infallibile, come tutti noi. E a mio parere stavolta ha sbagliato. Ho verificato io stesso, infatti, che il lettore Scozzi ha sintetizzato senza distorsioni l’intervento del signor Beppe Englaro ai microfoni Rai di “Restate Scomodi” in consonante dialogo con la collega Belviso, che ha avallato senza alcuna obiezione tutte le dichiarazioni dello stesso, anche quelle non fondate. Che sottrarre cibo e acqua a una persona non in grado di alimentarsi da sola sia un «concetto molto diverso» dall’eutanasia (che in questo caso è attuata nella forma che molti definiscono “passiva”, perché causata da un’omissione e non da un’azione) non è una verità: è un’opinione drammaticamente fragile. Lo dimostrano i casi dolorosi e clamorosi di persone che sono state portate a morte proprio in questo modo: da Terri Schiavo negli Usa ad appunto Eluana Englaro in Italia. Mentre in Francia è in corso una dolorosa battaglia sul destino del 39enne Vincent Lambert: da una parte la moglie, che la pensa come il signor Englaro, e dall’altra stavolta i genitori dell’uomo, che invece continuano ad assisterlo e non vogliono che venga ucciso attraverso la sottrazione di acqua e cibo. Che è nutrire, non somministrare “forzatamente” medicine. So bene che una certa vulgata mediatica, sostenuta dai fautori dell’eutanasia, ha diffuso l’immagine falsa di Eluana come una “morta vivente”, in realtà – come, a suo tempo, una lunga e documentata campagna di contro-informazione di “Avvenire” e di pochi altri (compreso qualche importante programma Rai) contribuì a rendere chiaro – questa giovane donna è stata sino all’ultimo una persona viva anche se gravemente disabile. La stessa situazione che nel nostro Paese sperimentano altre tremila persone in stato di minima coscienza. Persone vive, seguite da splendide famiglie, ma che non sempre godono di tutte le condizioni di assistenza di cui Eluana poté giovarsi grazie alla dedizione delle suore misericordine della “Casa di cura beato Luigi Talamoni” e dei loro collaboratori.  Dunque, caso Eluana a parte, non si dovrebbe sostenere in modo ripetuto – come è stato fatto in quella trasmissione radiofonica, a doppia voce Englaro-Belviso – che l’alimentazione e l’idratazione di una persona disabile o malata sono una “terapia”. Non c’è affatto unanimità di «studi nazionali e internazionali» sul tema, anzi sono numerosi, forti ed eloquenti voci e studi che sostengono il contrario. Io, da non medico, mi limito a constatare che per parlare di “terapia” riguardo alla nutrizione di un essere umano bisognerebbe essere in grado di dimostrare che la sua fame e sete sono una malattia e non un bisogno fondamentale. Il signor Englaro fa la sua battaglia, assecondarla senza contraddittorio è una scelta possibile, ma pesante. In conclusione, ribadisco di considerare un grave errore che un programma Rai, servizio pubblico, su questioni così delicate e mentre sono in corso iniziative propagandistiche, politiche e legislative per legittimare l’eutanasia anche nel nostro Paese dia esclusivo spazio alle tesi di coloro che travestono l’eutanasia da «autoderminazione terapeutica». Spero che non accada ancora. Marco Tarquinio
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