Salvini scrive su Tito e gli infoibati. E noi diciamo: sempre con le vittime
sabato 29 agosto 2020

Caro direttore,
mi rivolgo a lei perché – nonostante alcune legittime e normali divergenze – più volte ho avuto modo di apprezzare il coraggio di "Avvenire" nel ritagliare spazi di confronto vero. È successo in materia di immigrazione con i cosiddetti "corridoi umanitari" che durante i miei 14 mesi al Viminale ho intensificato con grande convinzione anche sulla scorta di un suo stimolo, e che spero l’attuale Governo voglia ripristinare al più presto dopo troppi mesi di incomprensibile inerzia.
Certo, su altri aspetti del tema immigrazione la pensiamo diversamente: inutile ricordare la posizione della Lega a proposito dei "porti chiusi" (non a caso il 3 ottobre sarò processato a Catania per aver difeso i confini dell’Italia), ma con "Avvenire" c’è la possibilità di discutere e siamo in sintonia su altri argomenti come la lotta alla ludopatia o la necessità di valorizzare il volontariato e la cooperazione internazionale, senza dimenticare i dibattiti aperti e trasversali sulla difesa della famiglia e più in generale di un sistema di valori fondato sulla sacralità della vita e sulla persona. Per questo confido che anche la mia breve riflessione odierna finirà in buone mani e si tradurrà in una presa di posizione che mi auguro porti a un piccolo grande atto di giustizia verso la nostra storia.
Per introdurre l’argomento una sola parola è purtroppo sufficiente. Foibe, direttore. Due giorni fa in una di esse è venuta alla luce un’altra fossa comune, e ne abbiamo avuto notizia proprio grazie ad "Avvenire". Al suo interno i resti umani di circa 250 persone, per lo più ragazzini tra i 15 e i 16 anni, innocenti, gettati dalla furia sterminatrice del comunismo titino. Non un massacro estemporaneo, non una vendetta contro terribili gerarchi, né tantomeno un episodio isolato, quanto piuttosto l’ennesimo atto di una tragedia che ha visto l’uccisione sistematica di migliaia di persone, sia tra la popolazione slava sia nei confronti degli italiani su cui si abbatté un vero e proprio tentativo di genocidio. Genocidio premeditato, cosciente e organizzato. Questa è la conclusione a cui da tempo (e non senza ostacoli) sta giungendo la storiografia e questo è quanto emerge dalle viscere della terra insieme alle ossa, ai brandelli dei vestiti di quei poveri ragazzi in Slovenia che hanno subito lo stesso atroce destino di migliaia di italiani barbaramente uccisi per la sola colpa di esistere.
È una ferita profonda nel nostro passato che non possiamo permetterci di lasciar passare sotto silenzio, soprattutto perché c’è qualcosa che possiamo fare per ricucirla coralmente, come Paese.
Nel 1969 infatti, quando di foibe si parlava soltanto sottovoce e con molti imbarazzi, l’allora presidente Saragat conferiva al maresciallo Tito l’onorificenza di Cavaliere di Gran Croce al merito della Repubblica italiana. Una scelta che in chiave storica si può inquadrare, e forse giustificare, nella strategia del blocco Occidentale che in quegli anni tentava di blandire il comunismo jugoslavo in opposizione a quello sovietico, ma che oggi noi abbiamo il dovere di correggere con l’annullamento e la revoca di quel conferimento a uno dei più sanguinosi dittatori del Novecento.
Lo dobbiamo al sacrificio di troppi innocenti massacrati senza pietà, lo dobbiamo agli esuli e ai loro discendenti, quelli che Montanelli definiva «doppiamente italiani», prima per nascita e poi per scelta, lo dobbiamo ai nostri figli perché sappiano, con le parole di Oriana Fallaci, che «le dittature, siano nere, rosse, gialle, sono tutte uguali e che la lotta dell’uomo per la libertà è sempre la stessa».
Matteo Salvini, segretario nazionale della Lega


Le sono grato, senatore Salvini, per lo schietto riconoscimento del coraggio di "Avvenire". Coraggio, chiarezza e capacità di ascolto della realtà e delle persone, assieme alla scelta preferenziale per i più deboli e per i "senza voce", sono virtù che cerchiamo di praticare. E che ci aiutano a costruire quelli che lei nella sua lettera chiama «spazi di confronto vero», ovviamente più facile quando c’è convergenza sulla sostanza delle questioni, ma che credo possibile fecondo anche nel dissenso e persino nella franca contrapposizione. Un dibattito che vorremmo fosse interpretato sempre con lo stile che ci è caro e che è fatto di civiltà di toni e di argomentazioni.
Grazie anche per il richiamo che lei fa all’impulso che da anni cerchiamo di dare ai "corridoi umanitari" aperti proprio in Italia grazie alla generosa iniziativa ecumenica di cristiani cattolici ed evangelici in collaborazione coi governi di diverso colore che si sono succeduti dal 2016 a oggi. Essi sono orientati a portare in sicurezza i richiedenti asilo verso l’Europa. Tema tanto più attuale mentre in Libia si continua a consumare la tragedia delle persone rinchiuse nei campi di detenzione che le Nazioni Unite hanno definito a ragion veduta «lager». Le testimonianze e le foto che abbiamo pubblicato sul giornale di ieri, sabato 29 agosto, sono sconvolgenti. Si tratta, gentile segretario Salvini, di persone che avevano lasciato la Libia irregolarmente, in condizioni disperate e a caro prezzo per mancanza di canali di emigrazione con tutti i crismi della legalità e che sono state catturate e riportate indietro dalla cosiddetta Guardia costiera libica... Oggi, poi, diamo conto su queste stesse pagine dell’arrivo in Italia di un piccolo gruppo di profughi eritrei, superstiti di un più grande gruppo di persone respinte illegalmente nel 2009 e che solo undici anni dopo ricevono giustizia e indennizzo, senza poter essere però ripagate delle enormi sofferenze aggiuntive loro inflitte.
Per questo non esito a ricordare ancora una volta che i confini da difendere sono quelli della nostra Repubblica, che si è data una Costituzione che li fa coincidere con l’essenziale frontiera dell’umana civiltà. Se perdessimo quel senso del solo limite invalicabile, non ci sarebbe nulla di giusto e di degno da difendere. Ecco perché mi auguro che lei e il suo partito sosteniate le iniziative umanitarie e per il governo dei flussi migratori che, pur con le cautele dovute in epoca di pandemia, le autorità italiane ed europee si accingono a esaminare e concordare il prossimo 23 settembre.
Grazie, infine, per il riconoscimento dell’opera di verità che "Avvenire" svolge da anni sulla terribile vicenda degli infoibati. E sull’ultima tragica scoperta della «fossa comune dei ragazzini» di cui abbiamo dato per primi notizia. Credo che il gesto dirompente del ritiro del Cavalierato di Gran Croce al Maresciallo Tito che lei, senatore, propone abbia motivazioni moralmente giuste. Non a caso è una richiesta avanzata da tempo dalle Associazione degli esuli dall’Istria da Fiume e dalla Dalmazia. Non si possono avere dubbi nella scelta tra le Croci incise nei cuori degli infoibati e la Gran Croce italiana attribuita a Tito.
Questo anche se so bene che il Maresciallo ricevette quell’altissima onorificenza negli anni in cui la sua politica di «non allineamento» con Mosca (che aveva presto portato alla smilitarizzazione del Mar Adriatico) si stava sviluppando ulteriormente: cito solo la dura e netta condanna dell’invasione sovietica della Cecoslovacchia, un primo allentamento dell’asfissiante controllo dei Servizi di regime sulla popolazione e, in specie, sugli intellettuali, la restituzione – previa intesa con la Santa Sede – di libertà a lungo negate ai cattolici jugoslavi e la riapertura dei confini con i Paesi dell’Occidente, Italia prima fra tutte. Detto questo, credo anche che gesti come quelli che i presidenti della Repubblica Ciampi, Napolitano e Mattarella hanno ripetutamente e solennemente compiuto, anche insieme ai loro colleghi presidenti di Slovenia e di Croazia, possono più di ogni altra iniziativa contribuire a riconciliare la memoria degli italiani, soprattutto degli italiani di Fiume, d’Istria e di Dalmazia che sono stati profughi in patria e non sempre e non ovunque bene accolti, e la memoria dei popoli amici e fratelli croato e sloveno, oggi uniti a noi nella comune patria europea.
Penso, insomma, che per perdonare e ricominciare c’è bisogno di non dimenticare e di non occultare nulla. E dico ancora una volta che nessuna "medaglia" e nessun successo politico potranno mai coprire e giustificare il sangue degli innocenti.


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