Oltre quell'«anno orribile» pure per la religiosità popolare
giovedì 4 febbraio 2021

Caro direttore, ripensando a Romana Guarnieri e a don Giuseppe de Luca e alle loro appassionate ricerche sulla pietà popolare, il 2020 da cui ci siamo da poco congedati si pone come anno di riferimento per comprendere il prima e il dopo di una delle più alte forme di espressione della fede e della spiritualità, quello della festa popolare, oggi direttamente colpito dalla pandemia con effetti completamente diversi rispetto al passato. Nella storia, infatti, le grandi cerimonie della religiosità popolare hanno suggellato la spinta di miracolosa resistenza contro peste e altre tragiche epidemie: il Covid ha invece di fatto spezzato, con il distanziamento e i divieti, il sentimento corale della festa pubblica, legame decisivo per la coesione comunitaria e sociale.

Ovunque nel mondo, pellegrinaggi, feste e processioni rappresentano grandi momenti di spettacolarità, non edulcorata, avvincente, che riescono ad armonizzare la dimensione ludica e gioiosa della festa con il profondo coinvolgimento della preghiera personale e collettiva: non solo patrimonio da tutelare, ma anche fonte preziosa di solidarietà e fratellanza. In Italia, specialmente nel Mezzogiorno e nelle Isole, l’intreccio tra paura e pandemia, sebbene abbia impedito al grande teatro delle feste di potersi ciclicamente rappresentare, non ha di fatto cancellato il bisogno e il desiderio di ritrovarsi insieme nel prossimo anno. La nostalgia è enorme, più di quanto non si creda. La festa è infatti uno spazio irriducibile rispetto a ogni mediatizzazione e partecipazione a distanza, poiché essa è vera e autentica solo se vissuta in diretta, tra sentimenti, emozioni e coinvolgimento diretto delle persone, delle famiglie, delle realtà locali considerate nel loro insieme, per cui la fede si esprime come 'fatto sociale totale'. Occorre adesso essere attenti, per scongiurare il rischio che questo immenso giacimento di valori, reso più fragile e vulnerabile, possa frantumarsi.

Commuovono, allora, le parole e lo sguardo che Romana Guarnieri getta sul sentimento più autentico e onesto della religiosità popolare, come quando scrive: «Addio novene e feste del santo patrono; addio processioni, teatro popolare dalle mille risorse; addio luminarie, mortaretti e fuochi d’artificio; addio emigranti, una volta tanto festosi, tornati per pochi giorni al paesello natio, tra familiari e amici, tutti riuniti per la festa del loro santo patrono; addio soprattutto fiducia collettiva, condivisa, addio speranza, confidenza, calore umano, umanissima allegria... » (R. Guarnieri, 'Con occhi di Beghina: sguardi sull’oggi', Milano, Marietti 1820, 2003, p.16) Ma è anche bello augurarsi che in questo 2021 ancora agli inizi si ripeta ciò che è sempre accaduto nei millenni: la risposta potente ed energica che assume i caratteri di rinnovamento e revival dopo la brutta ferita inferta al popolo da un catastrofico terremoto o da una devastante pestilenza.

Università di Bologna

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