venerdì 19 luglio 2013
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​La questione del "matrimonio gay" fatica a essere percepita nella sua esatta sostanza. Gli argomenti si moltiplicano e si intrecciano, ma in modo faticoso e nebuloso e solo di rado si confrontano, sì che sembra che il dibattito (o almeno il dibattito politico, che qui è quello che importa) non riesca a fare alcun passo avanti e si traduca in mere prove di forza, a volte esplicitamente elettorali (come in Francia) a volte giudiziarie (si pensi alla stretta maggioranza con cui negli Usa è stata votata la ben nota sentenza della Corte Suprema in materia).Da parte di chi ritiene giunto il momento di un "allargamento" del matrimonio "tradizionale" si insiste sulla necessità di far cessare ogni discriminazione nei confronti degli omosessuali, ma non si risponde all’osservazione che non ci sono diritti di cui i gay già non godano, come diritti delle persone – cioè attivabili direttamente da loro sul piano privatistico: tutelare questi diritti come diritti di "coppia" non avvantaggia, se non su di un piano meramente simbolico i gay e contribuisce a mettere ulteriormente in crisi l’istituto del matrimonio, che appare già in sé e per sé nel mondo secolarizzato di oggi molto malconcio.Da parte di chi non è d’accordo sul matrimonio gay, invece che porsi seriamente la domanda su come si sia arrivati a una simile pretesa (inaspettata fino a pochi anni fa), non poche volte ci si colloca dietro la nobile trincea del diritto naturale che attacchi concentrici e continui rendono sempre meno difendibile.Sempre più flebili e sempre meno ascoltate sembrano anche le voci di coloro che difendono il matrimonio tra un uomo e una donna negando che i gay abbiano il "diritto" di sposarsi, ma ritengono che le istanze di tutela delle diverse forme di convivenza possano sul piano civile essere prese sul serio, attraverso un riconoscimento specifico con conseguenze di tipo patrimoniale e non matrimoniale. Come tali convivenze possano però essere istituzionalizzate senza in sostanza ridursi (come, per esempio, avviene in Germania) a matrimoni etichettati lessicalmente in altro modo è questione tuttora irrisolta (e forse irresolubile).La questione è talmente ambigua e sfuggente che il solo cercare di metterla davvero a fuoco (almeno sul piano "politico") sembra davvero impossibile. Per fare un passo avanti, bisogna probabilmente (come alcuni, pochi osservatori del nostro tempo stanno facendo) allargare il nostro orizzonte e capire che l’oggetto del contendere non è il matrimonio gay, ma il matrimonio <+corsivo>tout court<+tondo>. Il solo fatto che del matrimonio gay si discuta come di una concreta possibilità (già trasformatasi, peraltro, in molti ordinamenti in una realtà normativa) dimostra che l’istituzione matrimoniale, come istituzione di coordinamento intergenerazionale, sta per implodere (se già non è implosa). Chi assume posizioni di apertura, se non di piena approvazione, del matrimonio gay non si rende probabilmente conto che ciò che rivendica per i gay non è, propriamente parlando, il riconoscimento del matrimonio, ma di un vincolo giuridico profondamente diverso, che col matrimonio ha ben poco a che fare, avendo una finalità primariamente "aggregativa" e non, come il matrimonio, primariamente "generativa". Il fatto stesso che, con riferimento ai gay, di matrimonio si continui, indebitamente, a parlare dimostra quanto profonda sia la crisi di questo istituto.Se si vuole un’ulteriore prova di quanto detto, si consideri la forza e la soddisfazione con cui Enrico Letta, come capo del Governo, ha salutato la definitiva cancellazione giuridica di ogni distinzione tra i figli (in concreto tra i figli naturali e quelli legittimi). Va da sé che i figli sono tutti eguali e che ogni discriminazione, a causa delle modalità giuridiche della loro nascita, è odiosa. Ma dovrebbe anche andar da sé che, se i figli devono essere considerati tutti eguali, non dovrebbero essere considerate tutte eguali le coppie che li mettono al mondo: e questo non solo perché la nostra Costituzione riserva particolare attenzione alle coppie unite in matrimonio, ma perché socialmente non è equiparabile una coppia che progetta un futuro generativo e struttura la propria esistenza per restare fedele a questo progetto e una coppia che, rifiutando il matrimonio, vive esclusivamente nell’occasionalità del presente (indipendentemente dal fatto che possa mettere al mondo figli). Parificando i diritti dei figli, senza intervenire a consolidare le coppie coniugali rispetto a quelle di fatto, Parlamento (nella scorsa legislatura) e Governo (in questa fase politica) hanno dato segno non tanto di essere insensibili nei confronti di questo problema, quanto di non riuscire nemmeno a percepirlo. È questa carenza di percezione che ci dimostra quanto grave sia oggi la crisi del matrimonio, tanto da farci pensare che sia alla fin fine cosa secondaria (o estrinsecamente simbolica) il fatto che lo si "allarghi" o no ai gay.Ecco perché chiamare a raccolta cattolici e laici "eticamente e socialmente sensibili" perché si oppongano senza se e senza ma al matrimonio omosessuale ha senza alcun dubbio senso, purché sia davvero chiaro che, prima ancora di dire di "no" pronto e fermo al matrimonio gay , bisogna saper dire di "sì" al matrimonio tout court, quello che vede nell’unione uomo/donna una proiezione generativa verso il domani e trasformare questo "sì" in pratiche sociali conseguenti, di cui oggi non si vede quasi più traccia. Un "sì" motivato da istanze antropologiche profonde, al cui mancato rispetto va addebitato il crollo demografico che sta travolgendo l’Occidente: un crollo che sembra non turbi affatto i sonni di un’umanità secolarizzata divenuta massicciamente presbite, se non addirittura cieca.<+copyright>
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