mercoledì 29 ottobre 2008
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L'America che noi europei " e anche noi italiani " pensiamo di conoscere per averla vista rappresentata in migliaia di film, di libri, di servizi giornalistici è probabilmente diversa dalla "vera" America che andrà martedì al voto per scegliere il suo nuovo presidente. Il capo della Casa Bianca è in qualche misura l'uomo politico più influente del mondo, ed è normale prestare la massima attenzione alla sua scelta. Ma la rappresentazione che ne emerge riflette " comprensibilmente " più gli interessi e le preferenze degli osservatori che la reale situazione interna. Oggi, al di qua dell'Oceano, pochi scommetterebbero su un successo di John McCain. Così bassa è la considerazione di George W. Bush e del suo doppio mandato da indirizzare tutte le analisi e tutti gli auspici sulla voglia di voltare pagina degli Stati Uniti (e di tutti coloro che sono toccati dalle loro scelte). Ma se Barack Obama è avanti nei sondaggi lo deve ormai ben poco alla discussa eredità del presidente uscente, a partire dalla guerra in Iraq. L'ultima settimana di campagna elettorale vedrà al centro altri fattori. E le possibilità di rimonta del senatore repubblicano si giocheranno proprio su di essi. Il candidato democratico conta sulla forza della mobilitazione che è riuscito a suscitare in una parte dell'opinione pubblica. Basti un esempio: nello Stato chiave dell'Ohio (nessuno di recente ha vinto senza conquistarlo), il più giovane dei contendenti ha aperto 88 comitati di sostegno, uno per contea; John Kerry, nel 2004, ne aveva appena sedici. La mobilitazione si è poi tradotta in fondi: 603 milioni di dollari raccolti contro i 380 di McCain. E con il denaro si può invadere l'etere di spot: dalle gare sportive (che in passato i politici non si potevano permettere) ai programmi di cucina (che invece venivano snobbati). Oggi su tre grandi reti tv passerà un discorso di Obama lungo 30 minuti, per trasmettere il quale sulla Fox slitterà addirittura un'importante partita di baseball. Sull'altro fronte, l'esperto veterano del Vietnam, che sperava di portare la sfida sui temi a lui favorevoli di sicurezza e politica estera, deve ora rinunciare alle proprie armi e puntare principalmente sulle debolezze dell'avversario. Il leit motiv degli ultimi giorni è stato già collaudato: «I democratici alla Casa Bianca prenderanno i vostri soldi e li daranno a qualcun altro». Obama «redistributore», Obama che «aumenterà le tasse». I piani per contrastare la crisi globale passano in secondo piano quando si è agli ultimi appelli, più emotivi che razionali. E la minaccia di mettere le mani nei portafogli della gente mantiene la sua efficacia. Il secondo elemento che lavora sotto traccia, anche senza che i candidati lo affrontino, è quello razziale. I sondaggi, si dice, ne sottostimano il peso, il 4 novembre se ne vedranno invece gli effetti. L'episodio del complotto neonazista per colpire la comunità nera e, forse, il senatore di Chicago, sventato in Tennessee, è la spia di un rischio, non il riemergere di un Paese violentemente segregazionista, come è stato raccontato in alcune cronache scritte da lontano. Eppure, c'è anche questo nell'America profonda. E qui si giunge al dato decisivo, a volte trascurato nelle nostre rappresentazioni del voto Usa: quei 75 milioni di elettori che ignorano le primarie, non partecipano ai comizi e non leggono i giornali di opinione. Quei tre quinti dell'elettorato poco visibili sulla scena politica, diffidenti verso i Palazzi di Washington, magari in parte conquistati dalla novità di Obama, ma presto pronti a tornare verso la loro scelta più consueta, in questo caso il vecchio e rassicurante patriota americano John McCain. Barack Obama è il favorito. Certamente migliorerebbe le relazioni degli Stati Uniti con il resto del mondo. La scelta però resta agli americani e sarebbe sbagliato confondere le speranze della vigilia con l'autentico andamento delle preferenze. Già quattro anni fa si sottovalutò il peso di alcune questioni etiche, risolutive nella conferma di Bush contro Kerry. Il tracollo dell'economia probabilmente questa volta peserà di più (malgrado l'impennata a Wall Street di ieri); il verdetto, comunque, deve essere ancora scritto.
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