Ma dai tetti non si scende
mercoledì 16 gennaio 2019

«Ma allora tutto è marcio, è inutile impegnarci». «Bisogna abbandonare tutto, coi rifiuti non si può avere a che fare». Sono due degli sfoghi che abbiamo raccolto ieri dopo l’arresto di Antonio e Nicola Diana, i fratelli imprenditori dei rifiuti casertani. Simboli di legalità, etica e anche efficienza. Figli di Mario Diana, imprenditore ucciso dalla camorra nel 1985, riconosciuto vittima innocente delle mafie. Loro stessi sono sempre stati considerati esempi di pulizia in un settore, quello dei rifiuti, che in Campania, e non solo, è stato ed è ancora ad alto rischio di illegalità, collusione, inefficienza. Antonio e Nicola non sono così. Almeno come li abbiamo conosciuti, fin dal 2005 quando, per spiegarci questa loro «anomalia», ci spiegarono che per evitare le infiltrazioni camorristiche «basta non lasciare spazi. Noi abitiamo qui ma evitiamo certe frequentazioni. Anzi facciamo frequentazioni lontane dalle loro, come la polizia, i carabinieri e la magistratura».

E così è stato in questi anni, direttamente, come imprenditori, e attraverso la fondazione intitolata al papà. Antonio e Nicola Diana hanno finanziato con borse di studio giovani meritevoli e in difficoltà, aiutato le parrocchie a fare la raccolta differenziata, hanno accolto in azienda scuole in visita guidata, dato lavoro vero e pulito a tanti giovani, laureati, tecnici, operai. Mai uno scandalo. Imprenditori e non uomini di potere, lontani anche dalla politica locale. «Ma ora crolla tutto», ci ha detto quasi piangendo uno dei tanti volontari di questa terra. C’è delusione, amarezza, sconcerto. Di nuovo viene messo sotto processo il mondo dell’antimafia, anche se in questo caso si tratta di un’antimafia concreta, aziendale, e non di chiacchiere e proclami. Di nuovo si mette tutto insieme, dagli scandali giudiziari palermitani sui beni confiscati alle vicenda dell’ex vicepresidente dei Confindustria Antonello Montante, dalle accuse create ad arte contro Libera ai profittatori del fondi antiracket. E poi ancora i rifiuti, quelli della "terra dei fuochi" che fatica a risollevarsi. Tutto in un pentolone indistinto, tra colpe vere e schizzi di fango.

Leggeremo con molta attenzione le pesanti carte che accusano i fratelli Diana addirittura di «complicità» con il boss Michele Zagaria, così come abbiamo fatto in passato con quelle che accusarono in modo sconvolgente l’ex sindaco antindrangheta di Isola di Capo Rizzuto, Carolina Girasole, che intanto ha già ottenuto un’assoluzione con formula piena. Leggeremo la loro difesa, seguiremo l’inchiesta e, se ci sarà, il processo. È giusto che sia così. Ma c’è già un forte rischio, comunque vada. Ed è quello espresso dalle reazioni che abbiamo citato. No, in queste terre non tutto è marcio, non è inutile impegnarsi. Non è stato inutile impegnarsi. In questi anni qui si è mostrato alla gente anche uno Stato che sa dare il meglio di sé, come magistratura e forze dell’ordine. Esiste il male ed esiste il bene, un «modello casertano» che ha consentito di colpire duramente e sconfiggere la "componente militare" della camorra, quel clan che aveva usurpato il nome dei "casalesi". E c’è anche il «modello casertano» dell’impegno sociale, le cooperative che hanno riempito di vita e di speranza i beni confiscati, le associazioni che hanno promosso iniziativa di resistenza e rinascita, le buone amministrazioni locali, le buone imprese (anche nel settore dei rifiuti), i bravi e motivati insegnanti che nelle scuole hanno custodito e fatto rinascere la memoria di chi nel passato ha dato la vita in questa lunga lotta.

Il prossimo 19 marzo saranno 25 anni dall’uccisione di don Peppe Diana, parroco di Casal di Principe, paese attaccato alla Casapesenna dei fratelli Diana. Il sacerdote aveva invitato a «risalire sui tetti per annunciare parole di vita». Il giorno della morte per mano di un sicario tutte le finestre del suo paese rimasero chiuse. Ma poi in tanti sono risaliti sui tetti e scesi in strada, nei campi, nei luoghi di istruzione e di fatica non solo per annunciare, ma anche per realizzare quelle «parole di vita». Tante finestre si sono aperte. Anche nei momenti più duri. Sarebbe davvero una grave sconfitta se ora le finestre si richiudessero e i «tetti» restassero vuoti. Sarebbe un grave errore, e non va commesso.

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