Le vere assenze che contano
giovedì 7 ottobre 2021

La delega al governo per la revisione del sistema fiscale inviata in Consiglio dei ministri e accolta dal consenso di tutti tranne, al momento, quello dei ministri leghisti rappresenta un documento fondamentale, e ancora modificabile, per tracciare le linee guida di una riforma molto importante per il nostro Paese. Il combinato disposto nel testo dell’art. 1 punto b dove si parla di adeguare la tassazione indiretta su produzione e consumi di energia all’obiettivo di ridurre le emissioni climalteranti con l’obiettivo di ridurre la tassazione sui fattori di produzione sembra aprire il campo all’approccio suggerito dall’Ocse e adottato da tempo dalla Germania di «tassare i mali e non i beni», spostando il peso fiscale dal lavoro all’inquinamento (carbon tax in cambio di riduzione del cuneo fiscale).

Colpisce, per ora, l’assenza di qualunque riferimento alla famiglia e ai figli, ma sono apprezzabili e condivisibili diverse altre parti come quelle legate al principio di progressività, alla semplificazione della vita del cittadino nel rapporto con l’autorità fiscale, alla lotta all’elusione e all’evasione. Qui ci concentriamo soltanto su un paio di punti che meritano riflessione e modifica.

L’incipit del testo è il migliore possibile perché richiama gli articoli costituzionali 3 e 53. Il 3 sottolinea la pari dignità di tutti i cittadini e nella seconda parte recita che «è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese». Pari opportunità, liberazione da ostacoli e pieno sviluppo della persona umana dovrebbero dunque ispirare la riforma. Il 53 ci ricorda il principio di progressività e il dovere di concorrere alle spese pubbliche in ragione della nostra capacità contributiva. Da una premessa indiscutibile come questa dovrebbe essere tratta la direzione di marcia verso l’orizzonte della generatività, implicito nella seconda parte dell’articolo 3 della Costituzione.

Sostenibilità sociale e ambientale dello sviluppo e creazione di un contesto sociale che massimizzi le opportunità di realizzazione di ciascuna persona dovrebbero, dunque, essere linee guida nella direzione di marcia. Per questo motivo non aggiungere gli aggettivi 'sostenibile', 'inclusiva' e 'generativa' al primo dei «princìpi e criteri direttivi generali» enunciato nell’articolo (lo stimolo alla crescita economica) appare incoerente con le premesse costituzionali. Sappiamo bene infatti che esistono equilibri multipli e squilibri allarmanti e devastanti.

Con sentieri di crescita che si abbinano a insostenibilità ambientale e aggravamento dell’emergenza climatica, non sono socialmente sostenibili o possono paradossalmente generare problemi come quello dell’epidemia di morti per disperazione che negli Stati Uniti è espressione di una società sempre più disgregata e disperata perché in grado di creare condizioni di prosperità solo per una parte della popolazione. Quando guidiamo una macchina non guardiamo solo al contachilometri o alla velocità, ma ci preoccupiamo di tenere la strada e di non finire in un burrone. In economia continuiamo invece tenacemente a pensare in modo schizofrenico e a non avere una visione integrata. I tre aggettivi (l’ASviS e molte altre reti della società civile propongono peraltro di inserire il principio dello sviluppo sostenibile anche in Costituzione) sono pertanto quanto mai opportuni.

Un altro punto discutibile del documento è quello dove l’empito della semplificazione prende la mano in nome del principio della 'taglia unica per tutti' non comprendendo che la ricchezza del nostro sistema economico è fatta di biodiversità. Per quale motivo infatti bisognerebbe (lettera d dell’articolo 4) puntare, secondo gli estensori dell testo, a una «tendenziale neutralità tra i diversi sistemi di tassazione delle imprese, per limitare distorsioni di natura fiscale nella scelta delle forme organizzative e giuridiche dell’attività imprenditoriale»? La varietà delle forme organizzative esiste per servire una serie di obiettivi e oggi stiamo vivendo per fortuna una stagione di rinnovata ricchezza da questo punto di vista. Benefit corporation, imprese sociali, fondazioni di comunità, cooperative sociali di tipo A e B (reinserimento lavoro), cooperative bancarie, di consumo, di lavoro e di produzione mettono assieme creazione di valore economico e impatto sociale.

È evidente che l’impatto dell’operato di un’impresa su un determinato territorio non è affatto neutrale. Le imprese danno o tolgono riducendo o aggravando il peso delle amministrazioni locali nell’erogazione di beni e servizi pubblici. Un maggior positivo impatto sociale o ambientale deve essere riconosciuto e premiato anche fiscalmente (come di fatto oggi comincia ad accadere). Al contrario, la 'tendenziale neutralità' costituirebbe di fatto una vera e propria tassa progressiva sulla generatività e sull’impatto sociale e ambientale dell’attività produttiva.

La presunta neutralità del sistema fiscale è l’esatto opposto di ciò di cui abbiamo bisogno oggi. Punire gli abusi e le distorsioni come il fenomeno delle false cooperative (cosa sacrosanta) è altra cosa rispetto al disporre un analogo trattamento fiscale per un fondo di private equity che delocalizza dal nostro Paese in Slovacchia, licenziando 422 lavoratori, per aumentare il rendimento del capitale e un’impresa che, anche attraverso la scelta di una forma giuridica, si impegna a creare valore per il territorio e a ripartirlo tra i diversi stakeholder. Il legislatore volto a perseguire l’obiettivo costituzionale di pari dignità e di creazione di condizioni per le pari opportunità e la piena realizzazione di ciascuno non dovrebbe aver dubbi che la taglia fiscale uguale per tutti va in direzione opposta e contraria rispetto all’orizzonte costituzionale verso il quale la delega dichiara di tendere.

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