mercoledì 4 aprile 2012
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​«Romanzo di una strage» è un film importante. Non dico bello o brutto, dico: importante. Da non perdere. La strage fu enorme, la sua gratuità, quindi la sua colpevolezza, mostruosa, ma dopo 43 anni non ce la siamo ancora spiegata, non abbiamo fatto giustizia, e un delitto che non ha giustizia sta nella nostra coscienza come un allarme che squilla ogni minuto. Il film non evita la terribile domanda: chi è stato? E non sfugge alla risposta. Una risposta la dà, come l’ha data la magistratura. La magistratura ha indicato i colpevoli, ma ha aggiunto che non sono più condannabili, perché già assolti definitivamente. Magistratura vuol dire Stato. Se lo Stato sa chi sono i colpevoli ma non ha gli strumenti per condannarli, è uno Stato che non sa proteggere i suoi cittadini, e la protezione dei cittadini è la funzione per la quale esiste.Il film «Romanzo di una strage» si apre e si chiude nella mia città, Padova, piccola segreta misteriosa produttiva ribelle città del nostro Stato, all’epoca incubatrice della doppia violenza che terrorizzava i nostri giorni e le nostre notti, la violenza nera e la violenza rossa. Il film piega vistosamente verso la denuncia della colpevolezza della violenza nera. Alla quale collega una connivenza di servizi segreti separati. Se ne parlava molto allora, tra scrittori veneti. Con Zanzotto, con Rigoni Stern, Isnenghi, Lanaro.  L’opinione prevalente era (e la diceva il meno politico di noi, Zanzotto): se sono di sinistra li trovano subito, se sono di destra non li trovano mai. Non li han mai trovati. Dunque sono di destra.In questa città la culla della violenza rossa stava nel pensiero di Toni Negri, la culla della violenza nera stava nella mente di Franco Freda. Il primo aveva fondato il movimento Autonomia Operaia, il secondo aveva fondato il gruppo Ar. Ar è l’iniziale di Ares, areté, aristocrazia. Il rapporto tra la mente pensante della violenza rossa, e la base che la attuava, non era diretto: non era un ordine, era una direttiva, diffusa con ciclostilati, radio, convegni. A sinistra si parlava di "movimento", non di "gruppo". A destra c’erano i "gruppi", non i "movimenti". La violenza nera veniva chiesta con un ordine diretto, emanato da un capo, eseguito da una cellula. La violenza rossa puntava sul sequestro o l’eliminazione di qualche funzionario, la violenza nera puntava sulla strage. Il sequestro ricattava il potere, la magistratura, la polizia. La strage ricattava il popolo, per metterlo in ginocchio. Nel film le violenze ci sono tutt’e due: la strage serviva a inginocchiare il popolo, l’omicidio di Calabresi serviva a punire i servitori dello Stato. La violenza nera affondava le sue teorie nel superomismo di Nietzsche, espressamente citato nel film: se alcuni uomini "superiori" hanno un progetto di correzione della Storia, le piccole frange umane da sacrificare non contano niente.Il film, e la magistratura, oggi dicono che le tracce della strage portano a Franco Freda. Chiesi, allora, a Freda, se il superomismo non è un disprezzo per il cristianesimo, e rispose con veemenza: «Voi cristiani!... Io non lo sono». Era stato prima condannato all’ergastolo, poi assolto (amici miei, la giustizia italiana è troppo ballerina!), ma non potevo esimermi dal chiedergli: «Lei è colpevole o innocente?». La risposta fu agghiacciante: «È innocente non colui che è incapace di peccare, ma colui che pecca senza rimorsi». Non l’ho più dimenticata. Credo che, chiunque sia il colpevole, la verità stia lì.Chi ha fatto il maxicrimine aveva dentro di sé un sistema morale che lo assolveva, perciò si riteneva innocente più dopo la strage che prima. Non è a-cristiano, è anti-cristiano. Chiunque sia stato, è in pace con sé stesso. Non si condanna. Siamo noi che non siamo in pace, perché vorremmo punire il colpevole, e sappiamo che qui e ora è impossibile, non ci riusciremo mai.
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