mercoledì 7 dicembre 2011
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Dicono che lo smog non sia colpa delle auto, ma delle caldaie. Che i furgoni diesel inquinino più di dieci Suv. Che non esiste area metropolitana senza smog. Che contro le polveri sottili possono solo la pioggia o il vento. Che una volta Milano era molto più inquinata di oggi ma nessuno si lamentava. Che le targhe alterne o i blocchi del traffico non risolvono nulla. Dicono così, ed è tutto vero. Ma dicono anche l’esatto opposto. Che solo misure drastiche possono migliorare la situazione di una città malata di smog. Che siccome non si può andare ad abbassare la temperatura nelle case, fermare le auto diventa un atto necessario. Che se non si incomincia mai a mettere dei paletti, non si riusciranno mai a cambiare le abitudini delle persone. Che contro l’inquinamento di un’area metropolitana nella quale girano milioni di auto, operano migliaia di attività industriali e commerciali e si riscaldano milioni di appartamenti, il problema può essere affrontato solo con grandi misure, ma insieme. E, ancora una volta, è tutto vero. Il problema dello smog nelle città – mentre Milano decide da sola e senza l’hinterland un blocco di due giorni della circolazione, a Roma si convive ormai da giorni con le targhe alterne – il problema nasce anche dal fatto che hanno tutti ragione e contemporaneamente tutti torto. Una babele di argomenti capace negli anni di produrre solo qualche misura realmente efficace, ma tante divisioni e poche azioni in grado di affrontare il problema alla radice, magari con investimenti capaci di rendere gli spostamenti nelle aree urbane italiane sopportabili almeno quanto lo sono nelle altre città europee. E che, soprattutto, non ha saputo indurre modificazioni significative nei comportamenti privati e nelle abitudini dei soggetti che compongono il corpo vivo di una grande metropoli, non solo del suo piccolo centro. È come se lo smog, col tempo, più che ai polmoni avesse procurato danni maggiori ad altre parti dell’organismo, alimentando nuvole di demagogia improduttiva. Eppure anche la demagogia, nelle emergenze, può avere un senso. Se guidata nei binari dell’opportunità educativa. Perché noi non sappiamo dire, oggettivamente, se lo smog di oggi fa più male di quello di ieri, o se l’aria di una giunta è meglio di quella dell’altra. Ma siamo certi del fatto che un provvedimento forte può anche aiutare le persone a prendere atto delle reali dimensioni dell’emergenza. Che, volendo assecondare il filone demagogico, si misura forse meglio contando i bottiglioni di soluzione fisiologica venduti nelle farmacie per gli aerosol dei bimbi o i ricoveri pediatrici per problemi respiratori, piuttosto che misurando il livello di polveri sottili a un paio di incroci. Tra la dura manovra del governo Monti e i blocchi del traffico, su noi italiani sembra calato all’improvviso il peso di un richiamo generale alla responsabilità, intesa come necessità di valutare gli effetti delle azioni, dei singoli come di chi governa. Dall’evasione fiscale alle baby pensioni, dalle riforme mancate al costo dei favori, dall’incapacità di realizzare un sistema di trasporti efficiente alla mancanza di piste ciclabili o di parcheggi bici custoditi nelle aziende, fino all’abuso dell’auto tutti i giorni: fine dei pasti gratis, si potrebbe dire, ogni sconto ha il suo costo, ogni vantaggio si paga, ogni piccola o grande negligenza ha un effetto. Su tutti, e nel lungo periodo. Non stiamo attraversando una stagione facile, sacrifici e rinunce si materializzano quasi a ogni edizione del telegiornale o non appena voltiamo la pagina di un quotidiano. Per gli italiani è veramente venuto il tempo del coraggio. Una sfida che deve saper reggere chi ha il mandato di governare, ma anche chi ha l’onere di sopravvivere in una metropoli.
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