Esser figlio per esser Padre oltre l'umana sicurezza
martedì 23 novembre 2021

Caro direttore,
ci vorranno anni per valutare il contributo che Julian Carrón ha offerto al movimento di Comunione e Liberazione e, attraverso questo, alla Chiesa e al mondo. Intanto, però, a pochi giorni dalle sue dimissioni da presidente della Fraternità, almeno un tratto può essere ricordato di quest’uomo di Dio che ha accettato di rispondere alla chiamata di don Giussani, sostenuta da san Giovanni Paolo II e confermata negli anni dal voto dei responsabili di Cl. Da subito, nel 2005, fu evidente la diversità di temperamento di questo prete spagnolo rispetto a don Giussani, una diversità che egli non mistificò pretendendo di essere l’erede del carisma del fondatore. Diverso, eppure per certi tratti misteriosamente simile, perciò in modo unico figlio.

Schivo e dimesso al primo impatto, silenzioso e quasi indifferente alle elucubrazioni filosofiche, teologiche e politiche, improvvisamente il vulcano di Carrón si accende non appena scorge un moto di umanità reale, sincera, schiettamente sottomessa all’esperienza, sia che questa provenga da chi è più vicino all’esperienza cristiana sia dalla persona a questa più estranea (da Michel Houellebecq a Umberto Galimberti fino a Lady Gaga). Se i nostri Padri definivano l’uomo giusto come colui che è pronto a sacrificare il proprio pur di difendere il bene altrui, si può analogamente dire che questo uomo dell’Estremadura è stato pronto a sacrificarsi pur di favorire il cammino al vero di chi ha incontrato.

Come ha instancabilmente ripetuto – riprendendo Giussani –, occorre che la verità sia frutto di una scoperta verificata e confermata dall’esperienza presente, non una ripetizione di definizioni pur giuste ma disarticolate nei loro nessi e soprattutto dal rapporto con la vita. È questo corpo a corpo con l’esperienza la cosa che più ha conquistato don Carrón nell’incontro con don Giussani e che a tutti egli propone. Una presenza di questo tipo è scomoda, perché non permette di rifugiarsi nel clima di autoreferenzialità in cui ripiega ogni istituzione umana. Eppure, per quanto possa essere scomodo, non si può far altro che accettare il dialogo con la realtà di ogni giorno a cui ti invita. È un cammino profondamente umano che porta a scoprire in modo sorprendente la presenza di Cristo come la radice vitale di ogni cosa insieme a presenze amiche con cui saresti pronto ad andare in capo al mondo: è la Chiesa guidata dal successore di Pietro e dai vescovi.

È scomodo questo metodo perché non ripete prevedibili e già note parole cristiane, ma tremendamente affascinante perché ti fa rivivere in modo originale e contemporaneo l’esperienza di Giovanni e Andrea davanti a Gesù. Lungo la strada di questo metodo si comprende anche il gesto delle sue dimissioni. Già nel 2013, commentando quelle di Benedetto XVI, aveva scritto che lo impressionava la libertà di quest’uomo, pronto a «rinunciare a ogni sicurezza umana, confidando esclusivamente nella forza dello Spirito Santo». Poi, nel 2018, pensando all’angelo dell’annunciazione, scrisse che il Mistero «quasi si ritrae dalla scena per lasciare spazio alla libertà».

Così, anche oggi don Carrón si ritira dal ruolo per affermare ciò che ha sempre testimoniato: una fede talmente fondata su un’esperienza di pienezza che è pronta a sacrificare sé pur di mettere in moto la libertà dell’altro. Dalla gratitudine nei suoi confronti fioriranno, se Dio vorrà, personalità altrettanto radicate nell’esperienza della fede e capaci di suscitare libertà. In modo certo diverso, originale, ma misteriosamente simile. Il modo unico di chi sa essere figlio.

Sacerdote, teologo e patrologo

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