mercoledì 14 luglio 2010
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Adesso non ci sono più scuse. Impossibile non vedere, non accorgersi. Le parole usate dai magistrati di Reggio Calabria e di Milano sono pesanti: la ’ndrangheta "ha colonizzato" la Lombardia e vi "ha messo le radici". Con questi presupposti non c’è da stupirsi se tra i più di trecento arrestati dell’operazione "Il crimine" troviamo imprenditori, carabinieri e perfino il direttore generale della Asl di Pavia, che intercettato al telefono parla tranquillamente non di vite umane da salvare ma di omicidi. E non c’è neanche da stupirsi se tra gli indagati troviamo politici locali, e se si sospetta l’intervento delle cosche nella elezioni regionali e comunali.Lombardia come Calabria, stesse cosche stessi metodi. E che altro potrebbero fare? È nel loro Dna infiltrarsi nei centri di potere per ottenere e poi garantirsi il controllo del territorio, fondamentale per i ricchi affari, nella Piana di Gioia Tauro come in Brianza. In Calabria lo fa da sempre, in Lombardia da almeno trent’anni. E troppi in questo tempo hanno chiuso gli occhi, magari dicendo «qui da noi mai». La ’ndrangheta, invece, non guarda al colore delle casacche, non "tiene" per qualcuno, sceglie chi ritiene possa offrire di più, in genere sceglie chi vince. A destra come a sinistra. Lo fa nella sua "casa madre" dove nelle ultime regionali non avrebbe disdegnato di appoggiare il candidato, poi risultato supervotato, di Rifondazione comunista. Lo fa anche al Nord dove, secondo quanto emerso dall’inchiesta calabro-lombarda, non avrebbe disdegnato di appoggiare politici di centrodestra. L’ennesima dimostrazione che, purtroppo, nessuno è indenne da infiltrazioni, nessuno può dirsi sicuro a prescindere.  Non è il classico "tutti mafiosi nessuno mafioso". È piuttosto l’ennesimo campanello d’allarme nei confronti di un’antimafia fatta di troppe retoriche parole, che rivendica – giustamente – arresti e sequestri mentre però poi con la mafia si fanno affari. Non ci stancheremo mai di citare il vecchio detto pecunia non olet. Certo (lo conferma l’inchiesta di ieri) anche in Lombardia si spara, si intimidisce, si pretende il pizzo. Ma qui la mafia, e in particolare la ’ndrangheta, è danarosa e moderna, mafia imprenditoriale e come tale politica. Pronta a trattare da pari a pari. Giustamente il procuratore di Reggio Calabria, Giuseppe Pignatone ricorda che «i figli dei boss hanno studiato» e che ora possono presentarsi nei salotti buoni del Nord e nei palazzi del potere. E, purtroppo, sono bene accolti. Ma, attenzione, sono sempre loro, i Pelle di San Luca come i Pesce-Bellocco di Rosarno, i Commisso di Siderno come gli Alvaro di Sinopoli. Pronti a rivendicare, a colpi di pistola, la supremazia della "casa madre" calabrese di fronte agli eccessi autonomisti dei "lombardi". Perché gli affari sono affari ma la "terra", le origini vengono sempre prima. Anche per questa ’ndrangheta che si starebbe modernizzando, organizzandosi gerarchicamente con un nuovo assetto verticistico che avrebbe superato quello orizzontale delle "famiglie".Il colpo inferto ieri, compreso l’arresto del boss Domenico Oppedisano, considerato il numero 1 delle cosche, è di quelli che fanno davvero male. È, ancora una volta, il frutto dell’impegno e del difficile lavoro di magistratura e forze dell’ordine. Del prezioso ed efficace utilizzo di strumenti investigativi come le intercettazioni e le riprese filmate (che dire delle immagni del voto per alzata di mano tra i boss riuniti nel circolo Falcone e Borsellino di Paderno Dugnano?). Ma tutto questo non basterà se la società del Nord, tutta, non metterà in campo gli anticorpi della legalità, della trasparenza, della pulizia. Un onesto imprenditore campano ci diceva che per tenere fuori dalla porta la camorra bisogna cominciare a non fare certe frequentazioni. Già, cominciamo da qua. Un brusco risveglio dopo anni di colpevole torpore. Forse non è troppo tardi.
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