venerdì 8 aprile 2011
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Stava accompagnando la moglie e i figlioletti al mare, a Licola, per una giornata spensierata, Nunzio Cangiano, quando, nel 2007, venne trucidato tra la folla. Non era uno stinco di santo. Apparteneva al clan dei Di Lauro, che regnano a Scampia, periferia nord di Napoli. Sapeva di correre qualche rischio. In quell’ambiente a chi sgarra non viene perdonato mai. E lui qualche sgarro lo aveva fatto. Due killer gli spararono a bruciapelo. Fu il panico. Un fuggi fuggi generale. La giornata di vacanza per tanti si trasformò in un incubo. Da queste parti succede spesso. Quasi tutti abbiamo dovuto assistere a qualche esecuzione camorristica. È spaventoso. Oggi Carlo Capasso confessa l’omicidio. Ha solo 23 anni, questo giovanotto, e 4 omicidi sulla coscienza. È un pentito della camorra. Era al soldo del clan Di Lauro. Vi entrò da adolescente. A 15 anni guadagnava già 400 euro al giorno. Poi ci fu la svolta, la carriera, le promozioni, la fiducia dei capi nei confronti del ragazzino che mostrava di avere stoffa. Ci fu il salto di qualità: killer del clan. Giustiziere. Coraggio ed incoscienza ne fecero in poco tempo un boia da temere. A sedici anni il primo omicidio. Ebbe paura solo per un attimo. Presto passò lasciando spazio alle vertigini che gli procuravano il potere e l’avere. Comandare, anche a chi ha 20 anni più di te. Essere temuto, rispettato, invidiato. Infine, si pente. E confessa che a 16 anni guadagnava già 30mila euro al mese. Si pente per paura di essere a sua volta ucciso dai vecchi amici. In quell’ambiente non si è mai sicuri di niente. Leggi non scritte, arbitrariamente interpretate; monarchi senza scettro, ma con in mano pistole e mitragliette; killer pronti a prendere il tuo posto: questo si che può mettere paura. Sto pensando a lui, quando da un vecchio libro spunta una lettera ricevuta nel 2000 da un detenuto napoletano col quale ero in contatto. Lo chiamerò Gerardo. Scrive tra l’altro: «Qui è ben diverso da come vi immaginate fuori. Qui l’essere umano viene annientato nel suo intimo ed anche la fede è messa a dura prova perché cercare Dio in questi posti è impossibile... Io so che lei vorrebbe che ripensassi alla vita che conduco, ma io non mi sento pronto. Vivo con rabbia, ma non mi vedo così peccatore perché chi ci governa non lo è meno di me...». Poco tempo dopo Gerardo lasciò il carcere. Venne a salutarmi in chiesa, poi non lo rividi più. Fu ucciso qualche anno dopo, mentre era in macchina insieme a un amico. Le strade a scorrimento veloce, in provincia di Napoli e Caserta non sono mai state ripulite dalle immondizie. Ammucchiate ai bordi o nelle piazzole di sosta stanno lì, mute e tristi testimoni dell’incoscienza e della furbizia di alcuni ai danni dei cittadini onesti. In questi giorni, crescendo a dismisura, rischiano di ostruire completamento il passaggio per le auto. È un panorama brutto e desolante. Ritorna l’emergenza rifiuti? Non esattamente, perché non se n’è mai andata. Da settimane bruciano montagne di sacchi variopinti sprigionando colonne di fumi neri e velenosi che rattristano e accorciano la vita ai residenti. La gente si lamenta. I politici candidamente alzano le mani di fronte a un disastro ventennale. È in queste inefficienze e latitanze dello Stato che i giovanissimi killer della camorra come Carlo Capasso e i delinquenti ottusi e sfiduciati come Gerardo trovano la giustificazione per mettere a tacere quel minimo di coscienza che ancora gli arde in petto. «Non c’è legge», si sente ripetere in giro. E, allora, ognuno si fa la sua, come meglio gli aggrada. Il meccanismo è questo. La camorra, di questi malesseri – provocati, riveduti ed ampliati – si nutre. È da qui che occorre con coraggio ripartire. O, forse, cominciare.
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