Aleppo e Mosul: due volti della guerra
domenica 11 dicembre 2016

Aleppo e Mosul. Due città simbolo della ferocia della guerra civile in atto in Siria e Iraq e, allo stesso tempo, i due cardini strategici attorno a cui si combatte per plasmare il Medio Oriente futuro: perché vincere in queste città significa molto di più del loro mero possesso territoriale. Due centri urbani che vivono da settimane una storia parallela, sia pure con esiti diversi. Ad Aleppo, città chiave per i destini della Siria, i giochi sembrano ormai conclusi: la città è quasi completamente controllata dalle forze lealiste di Assad. Sostenuti dagli Hezbollah sciiti e dall’aviazione russa, i soldati siriani nei mesi scorsi hanno circondato le milizie dei ribelli islamisti, tagliando loro ogni rifornimento, per poi sgretolarne la resistenza.

A Mosul, ossia la preda più importante caduta fra le braccia dei tagliagole del califfo al-Baghdadi due anni fa, il governo iracheno sta cercando di ottenere la vittoria definitiva sul Daesh. Ma le analogie fra le due città finiscono qua. I loro destini intrecciati sono frutto di strategie e di politiche diverse. A Mosul, le forze armate di Baghdad sembravano all’inizio aver optato per un attacco 'a ferro di cavallo', per circondare da tre lati la città, lasciando tuttavia aperto il corridoio occidentale, che la collega ai territori del Califfato in Siria, così da favorire una ritirata dei miliziani jihadisti, evitando una guerra strada per strada che avrebbe mietuto moltissime vite innocenti fra la popolazione.

Secondo l’agenzia Reuters, il piano strategico sarebbe stato cambiato su pressione degli iraniani (ma anche di russi e curdi), desiderosi di intrappolare in una morsa i guerriglieri del Daesh al fine di annientarli completamente. Troppo alto il rischio che una loro ritirata si riverberasse negativamente sulla campagna militare dell’alleato Assad in Siria. E dato il ruolo delle milizie sciite controllate da Teheran e di quelle curde nel sostenere l’attacco a Mosul, Baghdad avrebbe dovuto mutare il suo progetto, impegnandosi in una dura battaglia strada per strada. I vertici delle forze armate irachene hanno ovviamente smentito ufficialmente questa ricostruzione, che li trasformava in esecutori delle decisioni iraniane, sottolineando come i propri soldati stiano attuando il piano previsto. Qualche dubbio, in realtà, permane. Ma il dato che maggiormente differenzia Aleppo da Mosul è il modo in cui i due governi guardano alle rispettive popolazioni.

Baghdad preferisce correre il rischio di un logoramento delle sue forze in una lunga battaglia nei vicoli di Mosul, piuttosto che colpire duramente dall’esterno i miliziani di Daesh, perché considera primario il contenimento delle vittime civili. E perché cerca – magari goffamente – di ricostruire la Mosul di prima del conflitto, ove convivevano comunità e gruppi religiosi diversi. Anche per questo non vuole far entrare le milizie sciite nel centro storico, temendo rappresaglie contro i sunniti rimasti. Al contrario, Assad non ha esitato a investire Aleppo con bombardamenti aerei e terrestri pesantissimi, schiacciando sì i ribelli, ma facendo strage di donne e bambini, distruggendo persino gli ospedali. Si parla già di centinaia di abitanti 'spariti', probabilmente nelle mani della famigerata polizia segreta del regime. Da una parte, una strategia che cerca di non infettare ulteriormente le ferite, per evitare di cadere nuovamente nella trappola della contrapposizione settaria, e con l’ambizione – speriamo non velleitaria – di ricostruire una convivenza fra comunità diverse negli stessi spazi. Dall’altra parte, la logica militare più crudele, che fa di città e abitanti solo dei punti sulla mappa da segnare come propri, 'sotto controllo'.

Ma che non offre alcuna prospettiva politica dopo la vittoria militare, nonostante l’estremismo islamista offra al regime, per quanto compromesso, la possibilità di apparire come un elemento tutto sommato meno pericoloso dei suoi oppositori. Ma Assad – tradizione di famiglia, vien da dire – sembra non conoscere altra forma di controllo se non quella, illusoria e scivolosa, della forza bruta.

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