Come si vince la partita Pnrr
giovedì 13 maggio 2021

Non ce n’è, le partite si vincono a centrocampo, come sanno gli allenatori decorati e in fondo tutti gli appassionati del pallone. Vale quasi sempre nel calcio, spesso in politica. La partita 'epocale' del Pnrr, una finale Champions per il nostro Paese, non dovrebbe fare eccezione. E la mediana sta nella pancia e nelle aspettative dei cittadini, più che nella testa di chi programma e decide. Si è talvolta accostato l’occasione rappresentata dal Next Generation Eu all’energia potenziale del Piano Marshall. Dote e intenti, in effetti, si assomigliano.

La differenza sta invece nell’apertura al futuro delle due Italie: un Paese ancora giovane allora, piegato dalla guerra eppure avviato ai ruggenti anni Cinquanta e Sessanta del Novecento, pronto a investire sul domani; un’Italia ben più stanca e arroccata oggi, con la paura di perdere rendite acquisite. Eppure, sotto la cenere della pandemia, si sono manifestati segni di vitalità diffusa e in molti casi condivisa. Generatività resiliente, stiamo imparando a chiamarla. Ed è proprio in questa zona del campo sociale che si gioca il successo della ripartenza.

I conti del Recovery alla fine del primo tempo sembrano quadrare. Tornano sotto il profilo tecnico – oltre ai saldi complessivi c’è un promettente equilibro tra investimenti e riforme strutturali – e pure politico, nonostante le fisiologiche fibrillazioni. Sia in casa, considerato l’ampio avvallo parlamentare, sia fuori, in Europa e oltre, dove ha certo pesato la credibilità internazionale del premier Mario Draghi. Il difficile, ne siamo consapevoli, viene ora. Nel secondo tempo. Quando in una manciata di mesi è necessario passare dalle 2.487 pagine di schede-progetto all’esecuzione, e alle tabelle agganciare i cantieri. Con un crono-programma serrato d’interventi a cuore aperto sui sistemi giuridici e burocratici, insieme a quello economici.

Tre decreti solo a maggio, semplificazioni incluse. Il rischio di rigetto è davvero alto, qualora non si riesca a coinvolgere l’intero corpo sociale. Dove? Nelle periferie della Pubblica amministrazione, dentro la società civile, raggiungendo soprattutto chi sta più indietro. Il Next Generation Eu ha bisogno cioè, d’ora in avanti, di quelle che il sociologo Aldo Bonomi chiama «passioni calde». Per tradurre sul piano esistenziale concetti astratti quali «transizione ecologica», «digitalizzazione dei processi» o gli stessi 240 miliardi del Pnrr, distillando al contempo una sensazione di partecipazione generale al cambiamento. Le poche grandi aziende private e, ci si augura, pure la macchina statale sapranno quasi sicuramente cogliere l’attimo, soprattutto se il governo avrà la forza di avviare le riforme strutturali.

E questo è un bene. Ma un consenso civile che non sia effimero e volubile come lo è patologicamente quello politico va guadagnato sempre dal basso. Solo quando anche il rider e la nuova partita Iva, il responsabile degli appalti di un piccolo Comune di montagna e lo studente alle prese con la didattica a distanza saranno persuasi che il Pnrr sia una reale opportunità, qualcosa che ci riguarda, ebbene, solo allora si potrà parlare di un processo avviato e non più di un maxipiano su fogli Excel. Come abbiamo imparato ormai molti anni fa, nessun 'racconto' può conquistarsi l’egemonia se serve a legittimare gli interessi di una categoria particolare e a scartare quelli degli altri.

E quanto più sono profonde, le riforme di struttura, tanto più hanno bisogno di essere interiorizzate dai cittadini comuni per risultare efficaci. Il contesto è decisamente più complicato, oggi, nello spazio pubblico dei social media, dove all’intellettuale organico si è sostituito l’influencer. Per questa ragione un aiuto prezioso potrebbe arrivare dal Terzo settore. Che attraverso il welfare di prossimità sta già operando nelle forme di riarticolazione del tessuto sociale e produttivo, sulla frontiera della crescita inclusiva. Ci sono sei milioni e mezzo di italiani, fra volontari e salariati, in grado di cogliere le potenzialità del cambiamento in atto. Già le vivono, nella quotidianità del reale, ancor prima di tuffarsi nel virtuale di Instagram. Sono loro, insomma, che potrebbero cementare il consenso e trasformarlo in fiducia.

Ecco perché il 'terzo tempo' del Recovery Plan deve cominciare subito, quando si è appena iniziato a giocare il secondo: senza coinvolgere gli italiani a centrocampo, l’Italia non cambierà.

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