martedì 3 ottobre 2017
«Uscire è la parola d'ordine del cristiano», ma non dev’essere «il bighellonare senza meta, il trascinarsi stancamente lasciandosi portare verso il vuoto suggerito dalla moda del momento»
A Pistoia l'apertura con il vescovo Galantino della rassegna "I linguaggi del divino" (Siciliani)

A Pistoia l'apertura con il vescovo Galantino della rassegna "I linguaggi del divino" (Siciliani)

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C’è il rischio di affidarci a un «linguaggio del divino proclamato ma contraddetto nei fatti». Il monito del segretario generale della Cei, il vescovo Nunzio Galantino, risuona nella Sala maggiore del Palazzo comunale di Pistoia. Ospite della diocesi, il presule apre nel cuore della città toscana che quest’anno è la «capitale italiana della cultura» il ciclo di incontri fra teologia e arte che la Chiesa locale ha voluto per celebrare il riconoscimento assegnato dal Ministero dei beni culturali ma anche i trent’anni delle Settimane teologiche pistoiesi. Tredici appuntamenti fino a dicembre nel segno dell’Evangelii gaudium uniti nel titolo «I linguaggi del divino».

Di fronte a una platea che vede insieme sacerdoti, laici impegnati nella vita ecclesiale, politici, amministratori locali, Galantino scandisce: «L’ospitalità è sacra nella Scrittura. Per non viverla si inventano talvolta mille scuse scandalose che rivelano una grettezza inconfondibile e una contraddizione insopportabile». Poi aggiunge: «Il pericolo maggiore sta nel rifiutare di accogliere il prossimo perché non vediamo più in lui quella presenza di Cristo che non riusciremo mai a soffocare sotto le ceneri delle nostre miserie e dei nostri calcoli». In mente vengono gli attacchi di Forza Nuova al “prete pistoiese dei migranti”, don Massimo Biancalani, lo scorso agosto e quell’irruzione a Messa per «verificarne l’ortodossia», aveva annunciato il movimento. Il segretario generale della Cei non cita mai i fatti dell’estate con le annesse polemiche strumentali, ma racconta le critiche che Tertulliano ebbe dalla sua comunità monastica quando fece sedere a tavola uno sconosciuto pellegrino. «Un fratello – dice Galantino – lo affronta: “Sei contento ora? Non hai pensato alle malattie che potrebbe attaccarci?”. “Io ho pensato alle malattie con le quali noi forse potevamo contagiarlo”. È la malattia dell’ipocrisia della quale quei monaci erano inconsapevoli “portatori sani”».

Il vescovo Fausto Tardelli accoglie il segretario generale della Cei nel municipio. «Siamo qui, in questo spazio dove la città dibatte, per dire che la Chiesa vuole stare in mezzo alla comunità, aprirsi al dialogo, mettersi a servizio». «Uscire» è il verbo al centro della riflessione di Galantino. Preso a prestito da quelli consegnati durante il Convegno ecclesiale nazionale del 2015 a Firenze. «Uscire è la parola d’ordine del cristiano », afferma il presule. Però «nega in modo assoluto il bighellonare senza meta, il trascinarsi stancamente lasciandosi portare verso il vuoto suggerito dalla moda del momento». All’origine dell’incontro con l’altro, invece, c’è «lo stupore della fede che nasce dall’ascolto». Ascolto «della Parola di Dio e al contempo delle parole dell’uomo», osserva Galantino. Ecco perché occorre «empatia per poter udire dall’interno i battiti di questo tempo» ma anche «saper ascoltare le sofferenze e i limiti». Per questo uscire «non è fuga, bensì ricerca». Si tratta di un «esodo missionario» e di un «uscire solidale dove la solidarietà è gratuita ed evita di soggiogare l’altro».

E la ricerca «di linguaggi adeguati e di gesti coerenti è indispensabile se, a partire dal Vangelo, si vuole vivere e testimoniare la gioia pasquale ». Guai tuttavia quando «la Parola di verità è manipolata per contrabbandare la menzogna». Al contrario serve «un linguaggio che domanda di essere continuamente adeguato per farsi portatore di un annunzio credibile e coinvolgente nell’attuale realtà socio-religiosa». Non parole «malate», quindi, ma destinate a «illuminare la vita di ogni uomo». Che si mostrino nei volti di «missionari della gioia» che, conclude Galantino, sono stati capaci di «uscire dall’anonimato e dalle sabbie mobili della mediocrità».



Il vescovo Tardelli: la Chiesa ha aperto i suoi tesori per la Capitale della cultura

È quasi in penombra la navata della restaurata chiesa di San Leone a Pistoia. E, benché lo sguardo tenda ad alzarsi verso gli affreschi dell’«Azione dello Spirito Santo» che dominano nel presbiterio e sulla cupola, l’attenzione va al bianco scintillante di quella catechesi attraverso l’arte che è «La Visitazione» di Luca Della Robbia. Contemplandola sembra di sentire le parole del Magnificat. La terracotta invetriata del Quattrocento che mostra l’abbraccio tra la Madonna e la cugina Elisabetta è uno dei «regali» della Chiesa di Pistoia alla capitale italiana della cultura, titolo assegnato dal Ministero dei beni culturali che la città toscana, stretta fra Firenze e Pisa, ha trasformato in un cartellone di eventi per tutto il 2017. «La diocesi – racconta il vescovo Fausto Tardelli – ha cercato di contribuire aprendo i suoi tesori ai cittadini e ai turisti. Un esempio è proprio lo straordinario successo della mostra della Visitazione. In soli tre giorni ha richiamato oltre diecimila visitatori e ventimila dall’inaugurazione avvenuta a luglio». L’intero progetto è realizzato con la Fondazione Cassa di Risparmio di Pistoia e Pescia e Conad del Tirreno. In campo anche la Sovrintendenza.


Tardelli traccia un primo bilancio di nove mesi da capitale. «Lo definisco un anno straordinario. Mi riferisco soprattutto al risultato principale: promuovere la città e il suo impareggiabile patrimonio come mai prima d’ora». Non è un mistero che Pistoia «non ami i riflettori, che sia schiva. È stata chiamata “città rocciosa” per l’indole dei suoi abitanti, tendenzialmente litigiosi ma concreti e operativi». Ne è la prova, aggiunge il vescovo, «quella cultura della solidarietà caratteristica di una comunità aspra ma aperta alla carità e all’attenzione agli ultimi che si esprime in mille associazioni e gruppi di servizio, accoglienza, sostegno».


Adesso la diocesi dona alla capitale della cultura un altro tassello: il ciclo di incontri «I linguaggi del divino» che proseguiranno fino a dicembre. «Grazie alla lungimiranza di monsignor Giordano Frosini, la nostra Settimana teologica viene rinnovata in occasione del suo trentennale – chiarisce il presule –. La chiamerei “rassegna teologica” perché le classiche conferenze sono accompagnate da appuntamenti che hanno una fisionomia più culturale, artistica e musicale». Al centro l’Evangelii gaudium. «Riprenderemo il tema della gioia del Vangelo, della riforma della Chiesa in senso missionario auspicata dal Papa, riflettendo sui verbi del Convegno ecclesiale di Firenze: uscire, annunciare, educare, abitare, trasfigurare». Fra gli ospiti monsignor Dario Edoardo Viganò, prefetto della Segreteria per la comunicazione (giovedì alle 17.30 sui «nuovi linguaggi per comunicare»), il cardinale arcivescovo di Agrigento Francesco Montenegro, che dialogherà con Mauro Magatti, Chiara Giaccardi e Leonardo Becchetti (10 novembre sul «linguaggio della solidarietà») o il vescovo ausiliare di Milano Paolo Martinelli (30 novembre sul «linguaggio della spiritualità»).

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