venerdì 16 giugno 2017
Armi di produzione italiane usate in Yemen. Da anni la Rete italiana per il disarmo denuncia l’esportazione verso la coalizione saudita
Un frammento di un ordigno prodotto in Italia  dalla società RWM Italia che, secondo la denuncia dell'organizzazione non governativa Mwatana, e' tra quelli usati nell'ottobre in Yemen in un raid che ha ucciso almeno 6 persone, di cui 4 minori, condotto dalla Coalizione internazionale a guida saudita contro l'insurrezione locale degli Huthi. (Ansa)

Un frammento di un ordigno prodotto in Italia dalla società RWM Italia che, secondo la denuncia dell'organizzazione non governativa Mwatana, e' tra quelli usati nell'ottobre in Yemen in un raid che ha ucciso almeno 6 persone, di cui 4 minori, condotto dalla Coalizione internazionale a guida saudita contro l'insurrezione locale degli Huthi. (Ansa)

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L’ultima è la Bahri Jedda. Il cargo saudita, salpato da Cagliari la settimana scorsa, secondo i radar sta consegnando in queste ore il nuovo carico: 2.000 bombe per i caccia della coalizione che martella lo Yemen. Il governo italiano non ha mai ufficializzato i nomi dei Paesi destinatari, ma un frammento recuperato sul campo conferma il contenuto di due anni di inchieste giornalistiche partite da "Avvenire". La sigla 'A4447', incisa su una scheggia indica che l’ordigno proviene dalla Rwm Italia, che ha sede legale a Ghedi (Brescia) e stabilimenti a Domusnovas, in Sardegna, ma che fa capo al gruppo tedesco Rheinmetall.

Secondo l’ong yemenita Mwatana, il numero di matricola (nella foto), trasmesso all’ufficio Ansa di Beirut, è stato rinvenuto a Der al Hajari, nella regione nord-occidentale di Hodeida. I caccia piombarono alle 3 di notte dell’8 ottobre 2016: almeno sei civili uccisi, tra cui 4 bambini. Nel gennaio scorso un gruppo di esperti incaricati dall’Onu di indagare sulle violazioni in Yemen aveva certificato l’uso delle bombe della Rwm Italia sulle aree civili, affermando che questi raid «possono costituire crimini di guerra». L’identificazione degli ordigni «è stata resa possibile - ha spiegato Mwatana - grazie all’analisi delle sigle».

Anche Giorgio Beretta, dell’Osservatorio sulle armi di Brescia (Opal) ha confermato ad Avvenire la corrispondenza della matricola Da anni la Rete italiana per il disarmo denuncia l’esportazione verso la coalizione saudita, impegnata dal 2015 in raid aerei per reprimere l’insurrezione Huthi e dei loro alleati. In due anni di escalation armata, l’Onu ha documentato l’uccisione di circa 7.600 persone e il ferimento di 42mila. Stando alla relazione governativa annuale sul’export militare, nel 2016 sono state consegnate 21.822 bombe, ma sul numero di pezzi realmente esportati erano state avviate due inchieste giudiziarie a Cagliari e Brescia. Le procure, però, hanno trasmesso per competenza i fascicoli ai pubblici ministeri di Roma. L’elenco dei destinatari e il tipo di armi ad essi destinate, è coperto dal segreto. L’incrocio dei dati forniti nelle varie tabelle ministeriali, permette però di affermare che «una licenza da 411 milioni di euro alla Rwm Italia è destinata proprio all’Arabia Saudita », osserva Giorgio Beretta.

Si tratta dell’autorizzazione all'esportazione di 19.675 bombe Mk 82, Mk 83 e Mk 84. Informazione che coincide esattamente con il contenuto di un documento finanziario della tedesca Rheinmetall che per l’anno 2016 segnala un ordine «molto significativo» del valore di 411 milioni di euro proveniente da un cliente della regione 'Mena', che sta per Medio-Oriente e Nord Africa. Nella lista dei Paesi verso i quali la Germania ha esportato più armamenti nel 2016, l’Arabia saudita è terza dietro Algeria e Stati Uniti, un balzo in avanti rispetto al settimo posto del 2015. Secondo l’ultimo rapporto annuale sull’export dei «sistemi di difesa», approvato mercoledì dal consiglio dei ministri tedesco, l’anno scorso Berlino ha fornito ai sauditi armamenti per un volume complessivo di 529 milioni di euro. Ai sauditi sono stati forniti elicotteri (da combattimento e non), aerei da trasporto e per il rifornimento in volo. Nella lista non si parla invece di bombe poiché formalmente si tratta di una esportazione italiana.

Nel documento non compaiono però tutti gli affari compiuti dalla Germania con Riad: un anno fa, ad esempio, una controllata sudafricana del gruppo Rheinmetall (Rheinmetall Denel Munition, Rdm) ha partecipato alla costruzione in Arabia Saudita di una fabbrica di munizioni, un investimento che non è elencato nel rapporto del governo di Berlino. Da gennaio ad aprile del 2017 l’esecutivo tedesco ha inoltre autorizzato l’export di armi in Arabia Saudita per 48 milioni di euro. A fine aprile, in concomitanza con una visita di Angela Merkel in Arabia Saudita, il viceministro saudita dell’Economia, Mohammad al-Tuwaijri, aveva detto allo Spiegel che in futuro Riad rinuncerà alle armi tedesche. L’Italia non è affatto da meno. Durante poco più di 2,1 miliardi - osserva l’Opal di Brescia – ad oltre 14,6 miliardi di euro, con un incremento è del 581%».

Il 'Made in Italy' ha raggiunto quota 14,6 miliardi nel 2016 (+85% rispetto al 2015), ma il confronto con le relazioni ministeriali dell’ultimo quinquennio permette di scoprire che i dati del 2016 costituiscono un +452% rispetto al 2014. Il 9 maggio 2017 la Fondazione Finanza etica è intervenuta in Germania all’assemblea degli azionisti della società Rheinmetall. Ai vertici della multinazionale è stato chiesto il perché delle continue esportazioni italiane. «Il governo il governo Renzi le autorizzazioni per esportazioni di armamenti sono quasi sestuplicate: «Da italiano ha dato il suo assenso», è stata la risposta e questo «per l’azienda è sufficiente, nel rispetto delle leggi». Gli effetti collaterali dello scontro hanno molti volti.

L’epidemia di colera scoppiata in Yemen da fine aprile ha causato la morte di 989 persone, secondo il nuovo bilancio reso noto dall’ufficio locale dell’Organizzazione mondiale della Sanità (Oms), che parla di oltre 140mila casi sospetti. Ma nel Paese dove scarseggiano aiuti umanitari e sanitari, i 14 container della Bahri Jedda non faranno mancare rifornimenti all’aviazione delle petromonarchie.


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