Opinioni

Coraggio antiretorico e antibellico. Tre immagini per resistere

Mario Chiavario sabato 14 maggio 2022

Sono tante le immagini sconvolgenti che, di questa guerra, foto e video ci presentano ogni giorno (e altre, non meno sconvolgenti, ce le risparmiano solo perché vengono da conflitti in terre più lontane). Ma ci sono anche immagini che commuovono in positivo. Qui se ne mettono insieme tre, ancorché di ciascuna di esse si sia già detto e scritto molto, ma particolarmente legate dal filo rosso del coraggio antiretorico.

La prima immagine mostra la Piazza Rossa, con l’intervento della polizia moscovita che si scatena contro persone inermi. Gente colpevole di alzare rudimentali cartelli con su scritto – preceduto da un Nyet (no) – il vocabolo Voyne (guerra): parolasimbolo divenuta proibita. O colpevole anche soltanto di esibire un fiore o di sventolare un foglio interamente bianco o di portare un semplice nastro verde al polso o appuntato sulla giacca.

Semplici parole, semplici gesti, persino semplici silenzi. Ma fanno egualmente paura al potere, che risponde brutalmente. E qui il coraggio di chi sfida, in modo fermo ma nonviolento, i divieti sembra davvero non servire a nulla, sul momento: se avrà una carica dirompente, sarà a lunga gittata, com’è nello stile dei visionari; com’è accaduto per gli animatori di quei movimenti clandestini che a suo tempo contribuirono, per lo più pagando prezzi altissimi, a sgretolare dall’interno la solidità dell’impero sovietico e a dar forza alla pacifica rivoluzi0ne di Mikhail Gorbaciov. Nessuno può sapere se qualcosa di simile abbia prima o poi a ripetersi nella Russia di Vladimir Putin.

Nondimeno, se ciò dovesse accadere, tra i primi a dover essere ricordati sarebbero quegli sconosciuti 'visionari' che nel tardo inverno e nella primavera del 2022 lanciarono sfide apparentemente votate all’insuccesso e gravide di conseguenze pesantissime soltanto a loro carico.

La seconda immagine richiama un’altra parola-simbolo che si è sentita pronunciare molto in questi due mesi e mezzo, non sempre a proposito: solidarietà. È quella della processione di convogli umanitari che, in misura assai più massiccia del prevedibile, ha preso a snodarsi sin dagli ultimi giorni di febbraio per raggiungere l’Ucraina o le regioni di confine al fine di portare cibo, generi e mezzi di soccorso, nonché per recare diretta assistenza sanitaria a centinaia di migliaia di profughi in fuga. Indispensabili, sicuramente, altrettanto da subito coordinamento e assunzione di responsabilità istituzionali da parte di enti pubblici e solide e sperimentate reti associative: a evitare danni o sprechi da parte di generosi ma inesperti 'dilettanti' e, più ancora, sfruttamenti della situazione da parte di cinici profittatore; ma soprattutto al fine di procurare e di garantire là dove necessario dopo la prima assistenza, un’accoglienza effettiva, dignitosa e altrettanto disinteressata. In ogni caso, però, quel primo impulso è valso a dimostrare che ci sono ancora e sempre energie capaci di muoversi com’è dimostrato dalla storia e dal presente della più gran parte dei gruppi che hanno dato nerbo all’iniziativa – senza fare propria l’odiosa distinzione, già tracciata da qualcuno, tra questi «profughi autentici » e «la gente che arriva sui barconi».

La terza immagine è quella delle due coppie di mani femminili, ucraine e russe, intrecciate a reggere il legno di una Croce nel Venerdì Santo di questo tragico 2022.

Espressione, certo, di fede in un Dio, non supporto di egoismi, nazionali o d’altro genere, ma promotore di pace e perdono reciproco. Ma, specialmente qui, il gesto ha anche assunto il significato di un sapersi fare, la solidarietà umana, ancora più stretta proprio quando tutto, attorno, mette maggiormente in evidenza i motivi di divisione, di lotta, di guerra. Qualcuno, anche il presidente ucraino Zelensky (intervistato giovedì 12 maggio su Rai1 a 'Porta a Porta' e, purtroppo, non contraddetto da nessuno) ha detto – per spiegare la sua protesta contro la preghiera comune delle due donne – che quella Croce erano «due bandiere », una russa e una ucraina. La verità è un’altra.

E quella, come si sa, non è stata la recita di due attrici. Le due donne sono legate da tempo da un’amicizia, cresciuta e vivificata anche dallo svolgimento di un comune impegno di lavoro a beneficio dei malati. E per ciascuna di loro l’appartenenza al proprio popolo, per nulla rinnegata o minimizzata, come non incrinava prima, così non incrina ora, quell’amicizia; né induce a nasconderla; anzi, spinge a manifestarla, sfidando ire e reprimende dei rispettivi 'nazionali' e dei cantori dello scontro armato come unica via di resistenza all’ingiustizia. Non è così.