sabato 5 dicembre 2020
Assegnati i riconoscimenti a sei persone impegnate in ambito internazionale. Cattai: il loro esempio entri nell’agenda della politica e dell’economia
Sono sei persone, quattro uomini e due donne, i vincitori della 27° Edizione del Premio del volontariato Internazionale FOCSIV 2020. Hanno diverse età, cultura, storia personale e nazione, ma hanno in comune una stessa lingua: la difesa dei diritti umani inalienabili ed indivisibili di ogni essere umano. Lo perseguono ogni giorno con passione con il loro impegno e con il proprio volontariato.

Sono sei persone, quattro uomini e due donne, i vincitori della 27° Edizione del Premio del volontariato Internazionale FOCSIV 2020. Hanno diverse età, cultura, storia personale e nazione, ma hanno in comune una stessa lingua: la difesa dei diritti umani inalienabili ed indivisibili di ogni essere umano. Lo perseguono ogni giorno con passione con il loro impegno e con il proprio volontariato.

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«Sono convinto che, oggi più che in altri momenti, sia importante rimettere al centro dell’attenzione della politica e dell’economia il ruolo del volontariato, sia questo nazionale o internazionale. Senza questo impegno di oltre 6 milioni di italiani si perderebbero i valori fondanti e irrinunciabili sul quale poggia il nostro stato sociale» ha dichiarato Gianfranco Cattai, presidente Focsiv durante la consegna del Premio del volontariato internazionale Focsiv 2020. «Sin dalle prime ore dell’inizio della pandemia e del lockdown, sia nel nostro Paese come nei tanti luoghi all’estero dove siamo presenti, i volontari sono stati in prima linea negli ospedali, nelle case di cura, nel servire nelle mense, nel supportare le persone sole, nel fare servizio. Il loro esempio entri nell’agenda della politica e dell’economia», ha concluso Cattai.

La premiazione in occasione della Giornata mondiale del volontariato – moderata online dal direttore di «Avvenire» Marco Tarquinio – era inserita nel percorso di Padova Capitale Europea del Volontariato 2020.

I vincitori della 27esima edizione del premio che hanno diverse età, cultura, storia, ma hanno in comune la difesa dei diritti umani inalienabili ed indivisibili di ogni essere umano. Questi i sei premiati del 2020, tra cui tre italiani: Alessandra Braghini (Ovci - La nostra Famiglia), Premio volontario internazionale Focsiv 2020; Nabil Antaki (Fmsi), Premio volontario dal Sud Focsiv 2020 ex-aequo; Florentin Bushambale (Incontro fra i Popoli), Premio volontario dal Sud Focsiv 2020 ex-aequo; Ali Mammer del Comune di Casale di Scodosia, Premio volontario servizio civile universale emergenza Covid- 9 in Italia Focsiv 2020; Renata Cardì (Cope), Premio volontario emergenza Covid-19 in Italia Focsiv 2020; Luigi Manconi (A Buon Diritto), Premio difensore dei diritti umani Focsiv 2020, riconoscimento quest’ultimo istituito quest’anno per la prima volta.


Renata e Ali: le storie. Chiusi in casa, a cuore aperto

«Né io, né il mio ex collega ci siamo sentiti di lasciare quelle persone per chiuderci in casa». Febbraio 2020 anche il comune di Casale di Scodosia – quasi 5mila abitanti in provincia di Padova – entra in lockdown. Ali Mammer da pochi giorni aveva iniziato l’anno di servizio civile universale con il progetto “Comune amico”: «Ci siamo presi la responsabilità e abbiamo continuato il nostro servizio aiutando le persone della nostra comunità: questo mi ha molto maturato» racconta Ali.
Nato in Marocco 21 anni fa, un diploma da ragioniere, è il “Volontario servizio civile universale in Italia per l’emergenza Covid”, premiato da Focsiv.

«Sentendomi parte attiva di questa comunità non avrei mai abbandonato queste persone con cui avevo già legato», spiega Alì. Un legame semplice e concreto con la sua comunità, e ricambiato: «Mi fa piacere quando Ali scambia delle chiacchiere con me durante il suo servizio, sono vedovo da tanti anni e molte volte mi sento solo. Specialmente durante la primavera, quando non ci si poteva spostare, aspettavo il momento della consegna pasto per avere la possibilità di parlare con qualcuno» racconta Arduino De Battisti, 86 anni.

Anche Maria Casano, 80 anni, dai volontari riceve i pasti e viene accompagnata a fare delle visite di controllo: «Ali è un bravo ragazzo ed ha molta pazienza», un «piacere» essere accompagnata da lui. Naturale per questo ragazzo arrivato in Italia con la madre quando aveva 4 anni per raggiungere il padre (primo di 4 fratelli), dotarsi di guanti, mascherina e gel e continuare il suo servizio anche durante l’emergenza Covid. Un progetto, quello di “Comune amico” a sostegno degli anziani, necessariamente rimodulato in questi mesi di pandemia trovando la massima collaborazione. Ali ne è indubbiamente soddisfatto: «Un primo passo verso il mondo del lavoro il servizio civile, che mi ha reso l’uomo che sono adesso».


Servizio civile nelle case degli anziani e cucina solidale: le vie creative dell’altruismo

All’altro capo d’Italia vive Renata Cardì, 64 anni, fra i soci fondatori dell’Ong Cope a Catania. «Dovevo partire per la Guinea Bissau per una missione di valutazione di uno dei nostri progetti. Invece sono stata bloccata dal coronavirus. Allora ho subito pensato che dovevamo fare qualcosa per le persone in difficoltà», spiega la “Volontaria in Italia 2020 per l’emergenza Covid” premiata da Focsiv. Così la vecchia casa di Renata a due passi dal centro, ereditata dai genitori, si trasforma in poche settimane in una “cucina solidale” dove si preparano i panini da distribuire ai senza fissa dimora di Catania. Intanto in un locale della parrocchia assieme ad altre associazioni nasce il cartello “Catania Aiuta” che raccoglie generi di prima di necessità.

Il telefono di Renata Cardì, diventa un centralino che smista richieste, la sua automobile un mezzo di raccolta e trasporto di generi alimentari distribuiti poi insieme alle ragazze del Servizio Civile Cope e le socie di Oltrefrontiere. «Molto presto quel locale, un punto di riferimento per i donatori, era diventato un focal-point per chi era in stato di bisogno e Renata non poteva esimersi dal prendersi cura delle famiglie che cercavano di garantirsi un pasto», racconta Denese Zaksongo di Oltrefrontiere. «Renata è scesa in campo, rischiando anche in prima persona portando la spesa alle famiglie e impegnandosi nelle mense», la testimonianza di Valeria Rossi, una insegnante socia di Oltrefrontiere.

«Poi un pomeriggio Renata mi ha chiamato chiedendomi di aggiornare il sito dell’associazione inserendo le attività che erano state ideate. Me lo ha detto come fosse la cosa più naturale al mondo», conclude Valeria Rossi. Nuove attività, come i “Condomi solidali” per rifornire un altro magazzino per distribuire nuovi pacchi alimentari e sostenere il doposcuola interculturale gestito dalle volontarie del servizio civile universale. Sperando che presto venga anche l’ora per poter ritornare in Guinea Bissau.

Il volto simbolo: Alessandra e il cuore ovunque

«Non pensavo di vincere. Mi sarei aspettata che premiassero un giovane», risponde Alessandra Braghini, la volontaria internazionale Focsiv per il 2020. Quasi che 17 anni a Rabat, in Marocco, con Ovci – la Nostra famiglia fossero un game over.
Forse perché, giocare “fuori dal campo” e lavorare “a tempo scaduto”, e soprattutto nel più quotidiano dei nascondimenti di una famiglia in cui è presente un minore con handicap, è una scelta di vita che sembra non dover suscitare clamore. Ma senza aver il tempo per rendersene conto, la dinamicissima ragazza di Mantova dal sorriso contagioso, che nel 2003 con una laurea in Scienza dell’Educazione partì per il Marocco con l’Organismo di volontariato per la cooperazione internazionale, ha tracciato un percorso.
“Educazione inclusiva” la sua bussola professionale: «Nel concreto significa principalmente aiutare le mamme nelle loro case: molte completamente sole e stigmatizzate dal vicinato», spiega Alessandra. Volti e storie che scavano nell’anima e riplasmano l’esistenza: «Sono arrivata per restare pochi anni» e poi, in Marocco, Alessandra ha pure sposato Mohamed Mounir, educatore di minori con la sindrome di down da cui ha pure avuto due figlie, Yasmine (12 anni) e Sofia (8 anni). I primi progetti, realizzati nell’orfanotrofio "Lalla Meriem" e poi presso altre scuole locali hanno seminato fra i docenti marocchini i primi concetti di accoglimento dell’handicap e tutela dei diritti dei disabili. Pochi anni dopo, assieme alla locale Associazione dei genitori della Nostra Famiglia, l’apertura di un Centro multidisciplinare – esperienza pilota in Marocco – che offre servizi di orientamento e prestazioni specialistiche ai piccoli disabili e alle loro famiglie.
Un modello da provare a replicare in altre regioni del Marocco. «Si chiama sviluppo inclusivo su base comunitaria: entriamo nelle case dove c’è disabilità assieme alle famiglie, e con i giovani del quartiere» spiega Alessandra Braghini. Un esperimento iniziato nel 2018 con il progetto "I giovani come leva di sviluppo inclusivo del Marocco" cofinanziato dall’Unione Europea che ha già raggiunto oltre alla regione di Rabat-Salé-Kenitra, quelle di Casablanca-Settat, Souss-Massa, Oriental, Tanger, Tétouan Al Hoceima e Fes-Meknes. «Cerchiamo una associazione locale di riferimento e dei giovani che vogliamo lanciarsi in questa avventura», spiega la responsabile Ovci. Un corso di formazione per i giovani che si dimostrano realmente interessati e un progetto riabilitativo steso da uno specialista per le famiglie individuate dal progetto. E poi visite costanti dei «volontari rbc, riabilitazione su base comunitaria» per verificare come procede il percorso. Una rete sul territorio – in un Paese dove praticamente non esistono servizi pubblici – che attualmente coinvolge circa 40 giovani formati e oltre 400 famiglie beneficiarie di un intervento: «Non ci siamo specializzati ma iniziamo una assistenza di base per sindrome di down, ritardo mentale, disabilità motoria, autismo...» spiega la volontaria Ovci.
L’obiettivo futuro? «Che i diritti dei disabili, riconosciuti anche dalle leggi locali grazie alla buona sensibilità del governo, siano di fatto attuati. Un direttore didattico non si può più permettere di lasciare a casa un disabile, un insegnate di non attuare una didattica inclusiva». Un premio Alessandra non ha ritirato da sola: con lei Youssef, 17 anni con ritardo mentale che ora ogni giorno a Berkane passa delle ore nel laboratorio di un meccanico; Jihane, di 8 anni, che sulla sua sedia a rotelle ha scoperto la gioia di frequentare la scuola tre volte la settimana; Adam, 18 anni con la sindrome di down che, grazie ai volontari, può tirare di boxe con altri ragazzi a Mohammedia. E ogni volta che a casa passano i volontari, sotto la mascherina pare di riconoscere anche il sorriso silenzioso di Alessandra.

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