Milei vince a sorpresa: «Costruiremo una grande Argentina»
Il partito del presidente, la Libertad Avanza (LLA), ha conquistato più del 40% dei voti. Le congratulazioni dell'"amico" Trump

Trump salva Milei e i mercati lo rafforzano. E da Buenos Aires, il presidente rilancia il manifesto “Maga”: «Facciamo l’Argentina di nuovo grande». «Viva la libertà, carajo!». Esulta, sbraccia, urla. Quasi perde la voce ma alla fine regge, anche se diventa rauco. A Javier Milei, fedele tifoso del Boca Juniors, non è mai piaciuto il Fair play. Rivale a terra – peronismo, kichnerismo, terza via – il “Peluca”, capellone, come lo chiamano, non tende la mano, ma si accanisce sull’avversario. Temeva di fermarsi al 30 per cento ma ha stravinto con oltre il 42 per cento e il suo partito, “La Libertad avanza” (Lla), si prende la Camera con 80 deputati e il Senato con 18 rappresentanti. Il risultato è quindi un balzo in avanti se si considerano i 37 deputati e i sei senatori della legislatura uscente, il cui mandato scade il prossimo 10 dicembre. D’altra parte la coalizione “Fuerza Patria” si è fermata al 31 per cento, mettendo in evidenza la crisi del peronismo.
«È una giornata storica», ha detto Milei, intervenuto a Buenos Aires dopo la pubblicazione dei risultati, «il popolo argentino ha deciso di lasciarsi alle spalle cento anni di decadenza» e di proseguire «nel cammino della libertà, del progresso e della crescita». Nello stesso tempo il leader della Casa Rosada assicura che consoliderà «le riforme finora attuate» e ne promuoverà altre, rivendicando il vantaggio nei confronti del kichnerismo. Per il presidente argentino la vittoria alle urne segna «un punto di svolta» e si rivolge ai simpatizzanti con lo slogan Maga, quasi a ringraziare lo sponsor a stelle e strisce: «Facciamo di nuovo grande l’Argentina». Nessuno lo nasconde, neppure lui: l’esito alle urne si deve in gran parte a Trump, che ha vincolato ai risultanti lo swap di 20 miliardi di dollari e altri interventi esplicitando: «Se Milei non vince non saremo così generosi». E proprio dal tycoon sono arrivate le congratulazioni più calde. «Sta facendo un lavoro straordinario! La nostra fiducia in lui è stata giustificata dal popolo argentino», ha scritto Trump sulla piattaforma Truth. In fondo l’intervento di Washington è servito per salvare Milei dalla tempesta perfetta.
Il leader argentino, reduce dalla sconfitta alle provinciali di Buenos Aires, era travolto dalla crisi economica e dagli scandali di corruzione che coinvolgevano la sorella, Karina Milei, e il deputato José Daniel Espert, accusato di aver ricevuto 20mila dollari dal narcotrafficante Federico “Fred Machado”. «Se Milei non avesse ricevuto un salvavita non sarebbe arrivato alle elezioni, perché sarebbe stato costretto a svalutare il peso», ha dichiarato il direttore di Escenarios Federico Zapata, facendo riferimento ai traumi storici dell’inflazione e della perdita di potere d’acquisto per gli argentini. L’altro alleato di Milei è stato il mercato. Lunedì il rendimento dei titoli argentini, tra cui Global 2030 e Global 2035, è stato positivo. Non sarebbe andata così in caso di vittoria peronista, com’è accaduto nelle primarie del 2019 o al primo turno delle presidenziali del 2023, quando i mercati hanno reagito in maniera avversa al risultato. D’altra parte, al di là degli appelli alla èatria, le opposizioni sono in crisi di identità e stentano a presentare un’alternativa credibile. A dimostrarlo sono le sconfitte nella roccaforte di Buenos Aires e in grandi centri come Córdoba, Santa Fe e Mendoza.
Ma al di là della vittoria, secondo gli esperti, il presidente argentino dovrà cercare accordi con le opposizioni per approvare le leggi di riforma in materia di lavoro, previdenza e imposte. Milei potrà avere un centinaio di deputati, ma il Quorum per il dibattito delle riforme è di 129 voti. Ultimo fattore determinante per la vittoria l’astensione record: 32 per cento, la più bassa per un voto di mid-term dal ritorno della democrazia, nel 1983. Una parte importante della popolazione, dunque, non si riconosce né nel nuovo ultrà Milei né nella screditata opposizione.
Al Paese, nel frattempo, occorrono risposte urgenti laddove un quarto delle famiglie argentine, cioè 15 milioni di persone, è costretta a indebitarsi per arrivare a fine mese, come rileva l’Instituto Argentina Grande. Inoltre, secondo Fundación Mediterránea un lavoratore su cinque vive sotto la soglia della povertà, 4,5 milioni di argentini e secondo non riesce a coprire il paniere di base. Il dato peggiora se si entra nel mondo dei lavoratori indipendenti e informali, di cui 40,5 per cento è povero.
Il leader argentino resta però più incline allo scontro. Qualche giorno prima del voto ha incontrato Jamie Dimon, direttore esecutivo di JP Morgan Chase & Co. e si è lasciato andare dicendo che «il prestito è la vera giustizia sociale» perché permette agli individui di disporre «nel presente dei nostri risparmi futuri». Discorso sempre più lontano dagli ultimi, che nella nuova Argentina fanno i conti con il disincanto verso la politica, lontana dalla realtà sociale, e il senso di colpa dell’essere poveri, indotto da un’ideologia elitista.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Temi






