domenica 27 ottobre 2019
«No platform» in Gran Bretagna è una pratica studentesca che consiste nell'impedire a qualcuno di parlare nelle accademie. Negli ultimi anni è toccato soprattutto a femministe come Germaine Greer o Julie Bindel, imbavagliate con l'accusa di omotransfobia. Stesso trattamento riservato qualche giorno fa in Francia a Sylviane Agacinski, eminente intellettuale femminista impegnata nella lotta contro l'utero in affitto e perciò accusata di omofobia. Agacinski avrebbe dovuto tenere un conferenza all'università di Bordeaux su "L'essere umano nell'epoca della sua riproducibilità tecnica", ma le autorità accademiche hanno annullato l'evento dichiarando che «in seguito a minacce violente» non era possibile «garantire la sicurezza di persone e cose, né le condizioni per un dibattito acceso ma rispettoso». Una forma inaudita di terrore intellettuale, ha commentato Agacinski, «che influenza gravemente il dibattito pubblico in Francia». Ce ne intendiamo anche qui: se dici no all'utero in affitto, all'umano ridotto a merce, se esprimi un pensiero critico sul «cambio di genere» dei bambini o su altre meraviglie transumaniste, ti tappano la bocca dandoti della bigotta omotransofoba. Censure e gogne – poche storie – gestite e organizzate dalla lobby del biomercato che difende il suo business. Ma noi parliamo, e parleremo. Solidarietà ad Agacinski. Da questo giornale – mi conferma il direttore – e dalla Rete Italiana contro l'Utero in Affitto.
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