domenica 26 febbraio 2006
Gli esseri felici sono pacati e tranquilli. Portano dentro di sé il loro cuore come se fosse un bicchiere pieno che il minimo movimento può far traboccare o rompere.Ho tra le mani la prima edizione francese (1874) del romanzo Le diaboliche dello scrittore Jules-Amédée Barbey d"Aurevilly (1808-1889), un testo che non leggerò mai: mi bastano poche pagine per trovarlo enfatico, steso secondo i canoni di uno stile opulento e ridondante, dalle atmosfere un po" sulfuree e lampeggianti. Incontro, però, una frase che ben s"adatta ad essere proposta ai miei lettori. Essa ha per tema la vera felicità che, contrariamente all"opinione corrente, non nasce dalla frenesia di godere e di moltiplicare le esperienze, bensì dalla pacatezza, dalla pace, dalla calma. L"equivoco secondo il quale la quiete sia indizio di morte e l"autentica vitalità sia invece l"animazione, lo scompiglio, il movimento, il rumore, ci ha resi tutti stressati e insoddisfatti.L"immagine usata dallo scrittore francese è suggestiva: quando si deve procedere con un bicchiere colmo fino all"orlo, bisogna avanzare adagio così da non rovesciarlo o farlo cadere in frantumi. Purtroppo sono tante le cose, soprattutto nei nostri tempi, che militano contro questa pacatezza e tranquillità interiore. È divertente quello che si narra del pittore pavese Tranquillo Cremona (1837-1878) che pure apparteneva alla Scapigliatura milanese. Si dice, infatti, che sulla sua porta di casa avesse appeso questo cartello: «Tranquillo Cremona prega di lasciare Cremona tranquillo!». Ci sono persone, infatti, che - avendo poco da fare nella vita - si assumono la missione di far perdere tempo o infastidire il prossimo. Certo, non bisogna essere misantropi o musoni, simili a orsi scontrosi; ma la quiete, la solitudine, la tranquillità dovrebbero più spesso alonare qualche ora della nostra giornata.
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