Signor ministro, venga a vedere cosa fa davvero la Caritas
venerdì 26 aprile 2019

La sua personale macchina della propaganda, elegantemente battezzata "la bestia", se n’è accorta con una settimana di ritardo. Ma non ha voluto perdere l’occasione, ieri, per far gettare al ministro dell’Interno una palata di fango sulla Chiesa e sui tanti cristiani volontari che si occupano di poveri e, dunque, anche di migranti. E così – rilanciando un articolo di "OggiTreviso.it" del 17 aprile, nel quale si dava conto dell’annuncio delle Caritas di Treviso e Vittorio Veneto di non voler partecipare ai nuovi bandi ridotti per l’accoglienza – Matteo Salvini ha commentato su Facebook e Twitter: «La MANGIATOIA è finita, chi speculava con margini altissimi per fare "integrazione", spesso con risultati scarsissimi, dovrà cambiare mestiere».

Si potrebbe replicare con un’invettiva uguale e contraria – gli argomenti offerti dalla cronaca giudiziaria non mancherebbero – ma faremmo un torto anzitutto a ciò in cui crediamo e che cerchiamo di vivere, nonché alle persone straniere che delle polemiche e delle scelte politiche finiscono per essere le vittime.

Meglio allora ricorrere alla "correzione fraterna" e rispiegare al ministro, che nei tweet alterna mitra e rosario, le motivazioni della scelta delle varie Caritas diocesane come avevamo peraltro già fatto su queste stesse colonne il 21 aprile (Per leggere l'articolo clicca qui). Una decisione condivisa pure da molte realtà non appartenenti al mondo ecclesiale, come cooperative e associazioni del Terzo settore, comitati della Croce Rossa.

La Caritas negli anni scorsi ha cominciato a partecipare attraverso cooperative sociali a bandi pubblici su richiesta delle Prefetture e dello Stato centrale.

Queste, infatti, non erano in grado di assicurare ai richiedenti asilo che arrivavano nel nostro Paese una degna (e sostenibile) accoglienza in strutture pubbliche e con proprio personale. Un intervento in chiave sussidiaria, basato sul presupposto che le Caritas e i soggetti del Terzo settore, grazie alla loro sensibilità ed esperienza sul campo, potessero meglio assicurare l’assistenza necessaria alle persone straniere e soprattutto favorirne l’integrazione in piccoli centri diffusi.

Per questo l’amministrazione pubblica – non la Caritas – aveva stabilito un rimborso dei costi complessivi di alloggio, vitto, sorveglianza, corsi di lingua, assistenza psicologica e altri servizi per l’inclusione pari a 35 euro per persona, stabilendo parametri e richieste precise per il loro impiego. Servivano, oltre che a coprire i costi di struttura e di mantenimento, anche a pagare regolarmente personale (soprattutto italiano) specializzato, come psicologi, medici, insegnanti e mediatori culturali.

Questo fino a novembre 2018. Poi, con una direttiva che ha preceduto il "decreto Sicurezza", la quota di rimborso dei costi è stata ridotta a 21-26 euro al giorno per persona (a seconda della capienza del centro), con l’indicazione di tagliare i servizi di accompagnamento come l’insegnamento della lingua italiana, l’assistenza psicologica (importante per donne e ragazzi che in Libia hanno subito torture e privazioni di ogni genere), le altre attività sociali e di formazione.

Le Caritas a questo punto hanno maturato la scelta di non rispondere più ai bandi "ridotti" a mero servizio "alberghiero" o di gestione "simil-carceraria". Non condividendo né le modalità né soprattutto le finalità di un’accoglienza così svuotata di significato. Anzi, volutamente trasformata in una "macchina" non per integrare, ma per creare nuovi irregolari su cui speculare politicamente.

Perciò, nel commento pubblicato il giorno di Pasqua, auspicavamo che i nuovi bandi andassero deserti e che lo Stato, il governo, tornassero ad assumersi direttamente le proprie responsabilità nell’organizzare e gestire con personale pubblico la nuova "ospitalità", verificando così tra l’altro la congruità dei 21-26 euro di spesa giornaliera. I casi di vera «mangiatoia», denunciati anche da "Avvenire", hanno riguardato false cooperative e imprenditori privati spesso in combutta con politici e funzionari pubblici corrotti e nulla, purtroppo, impedirà che ciò accada ancora da parte di persone e organizzazioni senza scrupoli.

Le Caritas, come stanno già facendo alcune realtà territoriali, torneranno invece a concentrare i loro interventi finanziati con fondi propri e donazioni dei fedeli sull’accoglienza di secondo livello (dopo cioè la risposta sulla richiesta d’asilo) e in particolare verso le persone che lo stesso decreto Sicurezza ha finito per privare della protezione umanitaria. Così come proseguirà in altra forma, fuori dai centri di accoglienza straordinaria, l’opera di assistenza gratuita da parte di migliaia di volontari.

Vede, signor ministro, quando parla sui social di «mangiatoia», di «speculazioni con altissimi margini», non offende tanto e solo un organismo ecclesiale, la Caritas, che rappresenta assieme alla fede il cuore dell’agire cristiano, ma migliaia e migliaia di persone di buona volontà che in Italia, nelle Caritas parrocchiali, dedicano il loro tempo ai poveri, insegnano la nostra lingua agli immigrati, li consigliano, cercano di integrarli nelle comunità con i nostri valori irrinunciabili, assistono chi è in difficoltà qualunque colore abbia la sua pelle, si prodigano nella raccolta e distribuzione degli abiti, portano pacchi alimentari a famiglie italiane e straniere, nei centri di ascolto si fanno carico di tanti disagi diversi. Non speculano, ci mettono del loro in termini di tempo e di soldi. Non sfruttano «mangiatoie», condividono con chi ha meno. Cercano di rispondere gratuitamente, con carità appunto, ai bisogni delle persone. Incontrandole in carne e ossa, non incrociandole virtualmente sui social. Signor ministro, venga a vedere cosa fa davvero una Caritas per gli italiani e gli stranieri. Venga, e si ricrederà.

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