È la vita che genera ascolto della realtà e dell'altro
domenica 10 ottobre 2021

«Ascoltate!» è il tema scelto da papa Francesco per la Giornata mondiale delle comunicazioni sociali 2022. Se il tema dello scorso anno implicava un movimento, uno spostamento (vieni e vedi), questo invita piuttosto a un preliminare silenzio – della parola e del corpo. «Ascoltare» è il verbo più ricorrente dell’Antico Testamento, e «Ascolta» ( Shemà) è la preghiera-cardine della liturgia ebraica. Il Vangelo è ricco di episodi in cui Gesù si fa ascoltare: «Venivano ad ascoltarlo da ogni parte» (cfr Mc 1,45).

«Restavano meravigliati 'bevendo' i suoi insegnamenti (cfr Mc 6,2)» ( Evangelii gaudium n.136). «Ascolta» è anche l’invito contenuto nel prologo della regola di san Benedetto. E in Fratelli tutti, al n.48, il Papa ci ricorda che «san Francesco d’Assisi ha ascoltato la voce di Dio, ha ascoltato la voce del povero, ha ascoltato la voce del malato, ha ascoltato la voce della natura. E tutto questo lo trasforma in uno stile di vita». Perché ci sia ascolto dunque deve esserci silenzio: la cacofonia delle voci che si contendono la scena pubblica, il clamore del nostro 'io' ci saturano e ci rendono sordi. L’ascolto accade soltanto nel silenzio. Non, però, inteso in senso riduttivo, come assenza di rumori, come vuoto di suoni: piuttosto, come una postura attenta e accogliente. Perché ascoltare significa porgere attentamente l’orecchio, stare a udire con attenzione.

Nell’ascolto siamo insieme ricettivi (aperti ad altro da noi) e attivi (attenti, vigili, concentrati). Ascoltare significa lasciare che il mondo – il suo grido, i suoi paesaggi sonori, il suo canto – entri dentro di noi e ci metta in movimento, ci apra nuove vie di comprensione e di azione: è significativo che in alcune lingue, come il francese, udire e capire – entendre – si dicano allo stesso modo. Lo sguardo tiene il mondo a distanza, l’udito lo 'incorpora'. Così il mondo ci tocca e non può lasciarci indifferenti. Ascoltare non è registrare stimoli sonori. È discernere le voci dai rumori. E per poterlo fare occorre non solo attenzione, ma sensibilità, sollecitudine e criteri di interpretazione. Ciò a cui non riusciamo a dare senso, infatti, è solo un rumore fastidioso. Ma per dare senso dobbiamo avere dei quadri dì riferimento, e prima ancora una concezione del mondo. Per poter ascoltare il grido del mondo serve educazione, nel senso più profondo del termine.

E serve saper andare al dì là di ciò che è immediatamente percepibile, per cogliere che «tutto è connesso». Per questo, «quando non si riconosce nella realtà stessa l’importanza di un povero, di un embrione umano, di una persona con disabilità – per fare solo alcuni esempi –, difficilmente si sapranno ascoltare le grida della natura stessa» ( Laudato si’, n.117). E viceversa. Educarci all’ascolto, in un mondo di interdipendenze – o, come preferisco dire, di inter-indipendenze – è il compito che papa Francesco affida ai comunicatori, ovvero a tutti noi. Anche per il dialogo è necessario l’ascolto: la prima mossa del dia-logos, cioè del movimento di riduzione delle distanze, non è l’enunciazione, l’espressione dì sé, ma l’ascolto dell’altro. Solo così si creano le condizioni e si allestisce lo spazio propizio a un effettivo avvicinamento, a una prossimità sempre più vera. Ascoltare anche chi non ci somiglia, anche chi sostiene posizioni che non condividiamo. «Ascolta l’altra parte», diceva sant’Agostino. Solo così il dialogo è reale e non è un artificio retorico. Ascoltare è contemplare. È ciò che fa il poeta, o l’artista, che riceve così l’ispirazione per realizzare l’opera, in una sorta di dialogo cosmico. Ma si può dire ancora di più: la stessa fede viene dall’ascolto, dalla «parola che fa ardere i cuori» ( Laudato si’, n.142). Una parola che entra in noi e ci trasforma, se la sappiamo ascoltare davvero. L’ascolto può nascere solo da un desiderio: diamogli spazio, lasciamolo germogliare. Qualunque sia il nome che diamo all’infinito, può forse aiutare la «mappa per l’ascolto» di Chandra Livia Candiani: «Per ascoltare bisogna aver fame e anche sete, sete che sia tutt’uno col deserto, fame che è pezzetto di pane in tasca e briciole per chiamare i voli, perché è in volo che arriva il senso e non rifacendo il cammino a ritroso, visto che il sentiero, anche quando è il medesimo, non è mai lo stesso dell’andata. Dunque, abbraccia le parole come fanno le rondini col cielo, tuffandosi, aperte all’infinito, abisso del senso».

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