Quella valigia piena di personaggi che si è portata via Claudia Cardinale
di Fulvio Fulvi
Da Angelica del "Gattopardo" a Carmelina de "I soliti ignoti", fino a "8 e ½" e "C'era una volta il West", tante le prove da grande attrice della donna che sape

Occhi neri e una bellezza al tempo stesso raffinata e selvatica, sguardo magnetico e risata monella, sempre amabile ma a volte ruvida come la sua voce, Claudia Cardinale, morta martedì sera all’età di 87 anni, era capace di recitare con leggerezza e profondità ruoli drammatici e brillanti seguendo soprattutto il proprio istinto, il vero “segreto” del suo successo. Se n’è andata portando con sé una valigia piena di personaggi indimenticabili, come l’incantevole e maliziosa Angelica del Gattopardo (1963) di Luchino Visconti, con quella lunga sequenza del valzer entrata nel mito, e Carmelina, l’impertinente e furba “terrona” de I soliti ignoti (1958) di Mario Monicelli, agli esordi, dove è alle prese con il fratello “Ferribotte” (Tiberio Murgia) che vorrebbe tenerla chiusa in casa per impedirle, senza però riuscirci, di frequentare un giovane e spiantato ladruncolo (Renato Salvatori). Ma questa siciliana venuta dall’Africa - nacque a Tunisi nel 1938 da genitori di origini palermitane e trapanesi - è stata anche la Ragazza con la valigia (1961) del film di Valerio Zurlini, disincantata e disillusa da amori impossibili, e l’impetuosa e dolente Ragazza di Bube (1963), diretta da Luigi Comencini, contadina perdutamente innamorata di un ex partigiano latitante accusato di un omicidio politico. Comincia a imporsi, qui, grazie al suo fascino “anarchico”, come un’eroina della modernità che riesce a incrinare senza troppi clamori le convenzioni e i ruoli sociali del tempo, puntando sui sentimenti la propria ribellione.
Figlia di un ingegnere delle ferrovie tunisine e nipote di un costruttore navale trasferitisi nella capitale nordafricana (allora protettorato francese) durante la Prima Guerra Mondiale, Claude Joséphine Rose (è suo il nome all’anagrafe) voleva fare la maestra e con queste intenzioni si diplomò. Ma nel 1957, spinta dalla madre, partecipò, vincendolo, al concorso di Miss Italia in Tunisia. Ottenne come premio un viaggio a Venezia durante la Mostra del Cinema e per lei fu la svolta. Al Lido la notarono registi e produttori e Franco Cristaldi (che in seguito divenne il suo primo marito) le propose subito un contratto di sette anni con la Vides Film.
Il debutto sul grande schermo avvenne nel 1958, in un piccolo ruolo nel film I giorni dell’amore di Jacques Baratier, con protagonista un Omar Shariff ancora sconosciuto. E dopo le poche ma efficaci scene girate nella commedia di Monicelli e, l’anno seguente, la replica del personaggio di Carmelina (ma con meno smalto) in Audace colpo dei soliti ignoti, stavolta diretta da Nanni Loy, ecco per Claudia il ruolo della servetta Assunta in Un maldetto imbroglio e l’incontro decisivo con Pietro Germi. È stato il regista genovese a insegnarle come valorizzare al meglio quel talento di attrice che lei pensava di non avere. Nel 1960 è protagonista, con Marcello Mastroianni, de Il bell’Antonio, dal romanzo di Vitaliano Brancati, per la regia di Mauro Bolognini: è ancora una bella fanciulla siciliana stavolta moglie trascurata e negletta. Visconti la chiama nel cast di Rocco e i suoi fratelli, madre e consorte premurosa in una famiglia lucana emigrata a Milano e dilaniata dall’invidia e dall’odio. Sempre nel ‘60 la Cardinale è Fedora ne I delfini di Citto Maselli, una giovane di basso ceto che, cercando un riscatto sociale, sposa il rampollo viziato e inconcludente (Tomas Milian) di una borghesissima stirpe che vive in una cittadina di provincia. E come non ricordare, in una carriera con più di cento film, La viaccia (1961), di Bolognini, che segna il primo incontro sul set con Jean-Paul Belmondo (tra i due sorgerà un’amicizia oltre che un sodalizio cinematografico) dove interpreta una prostituta dalla complessa personalità. E, ancora, 8 e ½ (1963) di Federico Fellini, in cui la Cardinale è la ragazza del sogno, cioè lei stessa, immaginata dal maestro come una specie di fata moderna ispiratrice dell’artista. Nel Magnifico cornuto (1964) di Antonio Pietrangeli, recita a fianco di Ugo Tognazzi: moglie fedelissima si inventa un fantomatico corteggiatore per farsi gioco delle ossessioni del marito. E torna in Sicilia, nel 1968, per girare Il giorno della civetta, di Damiano Damiani, storia di un misterioso delitto di mafia narrata da Leonardo Sciascia nell’omonimo romanzo: è la maschera incupita e corrucciata di una vedova costretta a baciare le mani al boss (Lee J. Cobb) che ha fatto ammazzare il marito e che sembra non resistere al fascino del capitano dei carabinieri (Franco Nero) che indaga, invano, sul caso. Nello stesso anno la vediamo, di nuovo iconica e lucente, in C’era una volta il West di Sergio Leone, donna di bettola che vuol salire al rango di signora. Negli anni Settanta la sua popolarità cominciò a declinare ma nel decennio seguente riprese a lavorare in film d’autore come La pelle (1981) di Liliana Cavani, di nuovo accanto a Mastroianni, e nell’immaginifico Fitzcarraldo (1982) di Werner Herzog, sciantosa maitresse che incoraggia gli impossibili sogni del fanatico melomane Klaus Kinski. Nel 1971 interpreta un altro personaggio di nome Carmela: in Bello, onesto, emigrato Australia sposerebbe compaesana illibata (1971) di Luigi Zampa è a fianco di un volutamente farsesco e strepitoso Alberto Sordi nei panni di una poveretta arrivata dall’Italia per fidanzarsi con uno sconosciuto e poter lasciare così il suo gramo “mestiere”: è agile, appassionata, incisiva nel mostrarne i contrasti interiori e le speranze, al fin deluse, di una giovane catapultata in uno strano Paese che non conosce e circondata da persone rivelatesi diverse, nella realtà, da quelle che sono. Per la tv (ma fu proiettato in anteprima a Venezia), fu la protagonista intesa e convincente, de La storia (1986) dal libro di Elsa Morante, per la regia di Luigi Comencini: una Ida Ramundo disperata e disperante, che combatte con gli orrori della guerra e dispensa amore per il figlio avuto da uno stupro. Una interpretazione potente e commovente, senza mai un filo di retorica.
I registi Blake Edwards, che la chiamò per La pantera rosa, e Richard Brooks con il quale girò I professionisti, credettero nelle sue qualità artistiche: Claudia Cardinale avrebbe potuto fare molto di più a Hollywwod ma non ci volle mai abitare perché la riteneva una città «troppo stretta» per lei. Si trasferì in Francia, dove si è spenta, nella sua casa di Nemours, dopo una lunga malattia. Ma il suo mito, e la sua bellezza, non moriranno mai.
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