Trump, l'eversione, le profezie di Orwell
venerdì 29 gennaio 2021
Nelle ultime settimane due questioni hanno occupato di nuovo i commenti politici nei giornali: la cultura nel suo rapporto con la democrazia e la lingua nel suo rapporto con la realtà-verità. Il “trumpismo” eversivo e il ricordo di George Orwell, di cui si ripubblicano le opere, hanno offerto in proposito due occasioni da cui prendere spunto. C'è un rapporto fra la decadenza culturale e i nuovi rischi che sembra correre la democrazia? Non si tratta tanto di pericoli politici, almeno nell'Occidente in cui vigono regimi liberal-democratici, perché nessuna formazione partitica che conti qualcosa propone ideologie antidemocratiche. Il problema è piuttosto nella cultura diffusa: è il nostro modo di vivere e di concepire la “vita felice”, è la mentalità dei cittadini- elettori. Il caso del “trumpismo” è un fenomeno nuovo che ha radici non nuove. Si è avanzata l'ipotesi che se milioni di elettori hanno creduto in Trump, questo è stato possibile per ignoranza e incapacità di distinguere fra vero e falso, lecito e illecito, democratico e autoritario. Nella vita sociale del Paese più ricco e più storicamente orgoglioso della propria identità democratica, si è formata una non-cultura che ha permesso l'aggressione al Campidoglio di Washington, accettando l'idea di Trump secondo cui la vittoria di Biden è stata una truffa che avrebbe reso patriottica e doverosa un'insurrezione violenta di massa. Qualcuno si è chiesto: vanno a scuola gli americani? Che cosa imparano? Come ragionano? Che cosa sognano? Si parla e si riparlerà ancora una volta delle nere profezie di Orwell sul futuro politico e sociale del mondo. Il partito di chi gli dà sempre torto tende a prevalere, ma solo perché intende troppo semplicisticamente la descrizione orwelliana di totalitarismi mondiali in eterna lotta fra loro. C'è però un modo più utile di interpretare il suo angosciato pessimismo di uomo e scrittore che aveva vissuto gli anni di Stalin, Mussolini, Hitler, Franco e della Seconda guerra mondiale. Il peggio annunciato è più facile che avvenga non di colpo ma gradualmente. Per esempio attraverso mutazioni nel linguaggio e nelle forme quotidiane di comunicazione. Non c'è bisogno di quella che Orwell definì “neolingua”, controllata dallo Stato. Oggi è la dominante cultura televisiva, pubblicitaria e informatica ad alzare muri e barriere fra la vita mentale e una realtà che quasi nessuno osserva più con i propri occhi.
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