Questa nostra Europa da difendere... ma in nome di cosa?
venerdì 1 aprile 2016
C'è qualcosa di cui si abbia voglia e si trovi il coraggio di parlare, in una rubrica culturale come questa, nelle settimane in cui Bruxelles, capitale dell'Unione Europea, è stata colpita dal terrorismo islamista? Cultura? Sto leggendo La coscienza infelice di Benjamin Fondane (Aragno), una delle opere più importanti dell'esistenzialismo degli anni Trenta, quando l'Europa dilaniava se stessa tra fascismi e stalinismo in una delle più gravi crisi politiche della sua storia: e mi chiedo che cos'è, quanto vale, che cosa può la nostra cultura. L'autore di quel libro, un rumeno trapiantato in Francia, morì nel 1944 ad Auschwitz. La sua filosofia dell'esistenza fa parte di una corrente che coinvolge autori come Gabriel Marcel, Jean Wahl, Jacques Maritain, Nikolaj Berdjaev, Emmanuel Mounier, Lev Šestov. Da quando l'Illuminismo mise sotto accusa la tradizione religiosa, la fede e i suoi dogmi in nome del libero pensiero, la cultura moderna ha creduto di prendere il posto della religione. In realtà da allora in poi proprio una parte del più coraggioso pensiero critico ha attaccato i dogmi teologici e il controllo ecclesiastico anche ispirandosi ai Vangeli e alla figura di Cristo. Intanto una nuova forma di teologia, questa volta razionalistica, senza Dio, ma al servizio della Storia, fondava con Hegel la fede nell'Uomo come padrone del proprio destino e dominatore della natura. Questa teologia della Storia divinizzava il progresso economico-scientifico, esaltava la libertà universale chiedendo ai singoli il sacrificio del proprio intelletto e della coscienza personale. L'universalismo della ragione scientifica e politica, fra hegelismi e positivismi, esigeva dagli individui di mettere la propria esistenza al servizio della storia. La rivolta esistenziale è nata allora come critica dell'universalismo progressivo astratto e dei suoi idoli: potere, ricchezza, piacere. Senza il neocristianesimo eterodosso di Kierkegaard, Dostoevskij, Tolstoj, Simone Weil, la cultura europea avrebbe perduto gran parte del suo spirito critico. Ma in che cosa crede oggi la nostra cultura dominante e diffusa, presuntamente libera e critica? Crede nella trinità di Stato, Mercato e Tecnica che si legittimano a vicenda, vietando che si pensi ad altro e rendendoci increduli di fronte a chi ci odia. Dobbiamo capire invece, senza imbrogli, in nome di quale idea di vita umana difenderemo l'Europa.
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