sabato 31 marzo 2018
Ci sono i cristiani veri. Ma, purtroppo, ci sono anche i «cristiani finti». Quelli cioè che a parole dicono, e magari anche giurano, di credere in Gesù ma che, al contrario, sono «corrotti». Come i «cosiddetti cristiani mafiosi» i quali, di cristiano, «non hanno nulla: si dicono cristiani, ma portano la morte nell'anima e agli altri».
Esistono parole, espressioni che davvero non possono essere equivocate. Per le quali non valgono "distinguo" né capziose argomentazioni per attutirne l'impatto. E queste di papa Francesco, pronunciate durante l'udienza generale di mercoledì scorso, senz'altro appartengono a questa categoria. Perché, ha spiegato Bergoglio, «un cristiano, se veramente si lascia lavare da Cristo, se veramente si lascia spogliare da Lui... pur rimanendo peccatore perché tutti lo siamo, non può più essere corrotto: la giustificazione di Gesù ci salva dalla corruzione». Chiaro, dunque, perché essere mafiosi ed essere cristiani allo stesso tempo è impossibile, è una vera contraddizione in termini.
E non lo è non certo da oggi. In molti ancora hanno nelle orecchie il grido lanciato da papa Wojtyla ad Agrigento, nel 1993, alla conclusione di una giornata emotivamente pesantissima, segnata dall'incontro di Giovanni Paolo II con i genitori del giovane giudice Rosario Livatino. «Questi che portano sulle loro coscienze tante vittime umane devono capire che non è permesso uccidere gli innocenti. Dio ha detto "Non uccidere". Non può l'uomo, qualsiasi uomo, qualsiasi umana agglomerazione... mafia, non può cambiare e calpestare questo diritto santissimo di Dio! Questo popolo, popolo siciliano, talmente attaccato alla vita, popolo che ama la vita, che dà la vita, non può vivere sempre sotto la pressione di una civilta contraria, civiltà della morte! Lo dico ai responsabili: convertitevi! Una volta, un giorno, verrà il giudizio di Dio!».
Così come molti forse ancora ricordano quanto affermato nel 2007 da Benedetto XVI a Napoli, quando, parlando del «triste fenomeno della violenza», affermò che «non si tratta solo del deprecabile numero dei delitti della camorra, ma anche del fatto che la violenza tende purtroppo a farsi mentalità diffusa, insinuandosi nelle pieghe del vivere sociale, nei quartieri storici del centro e nelle periferie nuove e anonime, col rischio di attrarre specialmente la gioventù, che cresce in ambienti nei quali prospera l'illegalità, il sommerso e la cultura dell'arrangiarsi». Una situazione, aggiunse, di fronte alla quale è importante «intensificare gli sforzi per una seria strategia di prevenzione, che punti sulla scuola, sul lavoro... Con un intervento che coinvolga tutti... partendo dalla formazione delle coscienze e trasformando le mentalità, gli atteggiamenti, i comportamenti di tutti i giorni».
Così, negli anni, la Chiesa ha segnato rispetto a ogni forma di criminalità organizzata, comunque la si voglia chiamare – mafia, camorra, 'ndrangheta... – un inequivocabile punto fermo, sigillato dal sangue di chi in questa lotta con l'anticristo ha versato il suo sangue, a cominciare da don Pino Puglisi e don Peppino Diana. Cristiani veri.
Perché, per dirla ancora con le parole di Francesco, «siamo peccatori, ma non corrotti». Eppure, aggiunge il Papa, «devo dire una cosa triste e dolorosa: ci sono i cristiani finti, quelli che dicono "Gesù è risorto, io sono stato giustificato da Gesù, sono nella vita nuova", ma... vivo una vita corrotta... questi cristiani finti finiranno male. Il cristiano, ripeto, è peccatore, tutti lo siamo, io lo sono, ma abbiamo la sicurezza che quando chiediamo perdono il Signore ci perdona. Il corrotto fa finta di essere una persona onorevole ma alla fine nel suo cuore c'è la putredine».
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