giovedì 10 novembre 2016
Si rimane sgomenti di fronte a certe affermazioni. Sgomenti anche perché – a differenza di altre di minor portata – passano in sordina. Mi riferisco a quel giornalista che, riguardo all'ultimo terremoto, ha scritto su Facebook: «Il crollo delle chiese, però, è divertente». Come può divertire il crollo di edifici della memoria storica di un paese, di un popolo? Del crollo di un edificio storico, laico o religioso che sia, non ci si può rallegrare.
L'affermazione tuttavia nella sua drammaticità fa riflettere. L'ultimo terremoto è stato ben strano. Nessuna vittima, grazie a quella prima scossa che ha dato l'allarme e ha permesso a tutti di riparare al sicuro, ma ingente il danneggiamento e il crollo di tutte le chiese della zona sismica, colpita dunque nelle sue radici cristiane.
Pensavo a questo l'altro giorno mentre mi capita sotto gli occhi un'opera di Giovanni Gasparro, giovane artista al quale è stato commissionato il ciclo pittorico su San Giuseppe per l'omonima chiesa dell'Aquila distrutta dal terremoto del 2012. Un'opera del 2015, in collezione privata di Lisbona, reca il titolo: Salvator Mundi. Domina la tela, un Cristo Bambino bellissimo e pensoso, il cui sguardo innocente pare accarezzare tutte le tragedie di questo nostro mondo. Ed è così che ci si accorge di mani avide e perverse che cercano di afferrarlo al fine di impossessarsene o farlo soccombere. Il Cristo, inconturbabile, alza la mano benedicente mentre con l'altra protegge il mondo che, nelle sue piccole mani, pare poco più di un balocco.
L'iconografia è ripresa da molti artisti del passato come van Dick o l'italiano Mattia Preti: Gesù Bambino impugna la sua croce e si affretta alla Passione per salvare il mondo.
Impressiona come, con un anno di anticipo, Gasparro sia riuscito a fotografare la situazione attuale. Nell'angolo basso a destra, una delle mani regge un teschio, simbolo della morte che incombe. Ciò che rimane della dentatura del teschio sembra voler inghiottire il mondo e con esso il bimbo che lo difende. Quasi come il dramma del terremoto che tutto vorrebbe inghiottire, o quello delle innumerevoli morti cui ormai anche i nostri occhi si stanno drammaticamente abituando.
Di mani, elemento caratteristico della pittura di Gasparro, ce ne sono altre: una ingioiellata si insinua sotto il manto scarlatto del Cristo, l'altra maschile e avida lo ghermisce all'altezza del braccio, sono i poteri di questo mondo, nemici della creazione e della stessa umanità. Sono, come ha detto il Santo Padre, gli interessi economici e criminali che agiscono in modo subdolo e sistematico, di fronte a un mondo indifferente e – talora – ignaro di ciò che sta accadendo.
Gli esempi sarebbero tanti e superflui perché ognuno ne potrebbe elencare a migliaia.
Quello che ci salva e ci salverà, allora, è sollevare lo sguardo, tenere lo sguardo fisso su quella mano levata del Cristo Bambino, benedicente, e su quell'altra mano, tenerissima, che stringe il mondo a sé.
Sì, ancora dopo la plurimillenaria storia della Chiesa, dopo l'instancabile annuncio della Redenzione, ancora soffriamo per i nostri peccati, soffriamo per il mistero dell'iniquità che sovrasta, soffriamo per una creazione che sembra ribellarsi allo spreco e alla malvagità umana. Soffriamo ancora, è vero, ma al di là di tutte le cose, “più in là” come scriveva Montale, c'è una mano benedicente che non ci abbandona. Dentro il suo abbraccio di misericordia, se lo ricambiamo, saremo salvati.
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