venerdì 27 marzo 2020
Nemmeno oggi c'è il sole, a Milano. Il cielo livido sembra gonfio dei nostri pensieri. L'ansia per i figli. Per quelli che non vanno a scuola, magari tutto il giorno in camera davanti a un pc. Per gli adolescenti che scoppiano, fra le mura di casa. Per quelli che rischiano di perdere il lavoro, o di non trovarlo, nella crisi che ci sta arrivando addosso. Per i figli malati o disabili, che è ancora più difficile curare.
La preoccupazione per i figli è per me molto maggiore di quella di ammalarmi. Loro però mi paiono meno preoccupati di me. Hanno venti o venticinque anni: quando li avevo io, in Italia c'era il terrorismo, gli attentati, le bombe sui treni. Ricordo l'angoscia, nella faccia dei miei. Ma io mi sentivo giovane, forte, invincibile. Oggi però è peggio: il nemico è ovunque, invisibile. Non sceglie le vittime con una logica, colpisce chiunque.
La sera immagino quante madri come me, nello spegnere la luce sul comodino, hanno un ultimo pensiero, una preghiera di un istante: ti prego, loro no. Penso a mia nonna allora, quando mio padre era partito per il fronte, e per mesi non se ne ebbero notizie. Come faceva mia nonna, mi domando? Lei andava a Messa ogni mattina, puntuale, alle sette. La immagino in ginocchio davanti all'altare, ostinata, immobile.
Vorrei avere, e non ho, la fede di mia nonna. Ma forse il più ragionevole è davvero il contadino raccontato dallo scrittore Charles Peguy, che ha i suoi bambini a letto con la febbre alta, e si tormenta. Infine ha un'idea: affidarli alla Madonna, metterglieli nelle braccia, che ci pensi lei. I figli non sono "nostri", e non possiamo evitare loro dolori e prove. Affidarli, e fidarsi di Dio, bisognerebbe: a come quel contadino riprendere il cammino più leggeri, sgravati di un peso troppo grande.
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