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Venezia, nelle Stanze della Fotografia la generosità di Mulas

Giuseppe Matarazzo mercoledì 10 maggio 2023

Il fotografo degli artisti, così è conosciuto Ugo Mulas. Un’etichetta che sta stretta al più grande fotografo di una stagione memorabile, quella fra gli anni Sessanta e Settanta a Milano, della creatività artistica. Con un’alchimia straordinaria che aleggiava attorno al mitico Bar Jamaica, in Brera, il Bar delle Antille nella Vita agra di Luciano Bianciardi. Lì c’erano tutti i grandi. E lì andavano i più giovani animati dalla voglia di conoscere e imparare. Ugo Mulas per tutti è stato il fotografo degli artisti, sì. Lo era, sì. Ed era artista pure lui. Appassionato di poesia, bello, brillante, scanzonato come un flâneur e generoso. Un faro per chi amava la fotografia. A lui hanno guardato come un maestro Ferdinando Scianna, Gianni Berengo Gardin o Uliano Lucas, perché era tanto, ma tanto altro ancora. Per chi volesse scoprire la totalità e l’assolutezza di Ugo Mulas, uscendo dai facili cliché, non può perdersi una mostra inaugurata un mese fa a Venezia (c’è tempo fino al 6 agosto per vederla), a cinquant’anni dalla sua scomparsa, dal titolo Operazione fotografica, a cura di Denis Curti e Alberto Salvadori. Titolo che richiama le Verifiche di Mulas, e in particolate l’Autoritratto per Lee Friedlander dove riflette sul rapporto tra il fotografo e l’immagine, la costante presenza-assenza dell’autore dentro ogni scatto: l’immagine è quella del fotografo che si riprende allo specchio coperto dalla macchina fotografica che lo rende non identificabile. Come il fotografo americano ha inserito all’interno dei propri paesaggi la sua sagoma, Mulas inserisce in questa composizione il suo volto, “nascosto” abilmente dalla macchina fotografica.

Ugo Mulas, L'Operazione fotografica, Autoritratto per Lee Friedlander, 1971 - © Eredi Mulas. Courtecy Archivio Ugo Mulas, Milano - Galleria Lia Rumma, Milano-Napoli

«Ciò che apparentemente sembra un errore - precisa Denis Curti nel saggio in catalogo edito da Marsilio Arte -, altro non è che la presa di coscienza che il fotografo si interpone costantemente tra la macchina e il suo soggetto. E così come le ombre di Friedlander non rivelano mai il proprio volto, lasciando a noi la responsabilità di stabilire se sia effettivamente il fotografo a provocarle, anche nella Verifica di Mulas il volto del fotografo è occultato».Il fotografo c’è ma non c’è. E così avviene nei tanti Mulas che si possono ripercorre nelle nuove e meravigliose “Stanze della Fotografia” all’Isola di San Giorgio, per iniziativa congiunta di Marsilio Arte e Fondazione Giorgio Cini, nelle Sale del Convitto. Un luogo straordinario che vale da solo il viaggio in Laguna e destinato a diventare un riferimento anche internazionale della “camera”, con vista. Archiviata la magica stagione dei Tre Oci alla Giudecca (il palazzo è stato comprato dal gruppo americano Berggruen), ecco un nuovo sogno che si realizza. «Ogni progetto deve avere la capacità di racchiudere una storia – ha detto Emanuela Bassetti, presidente di Marsilio Arte -. Formare e costruire una memoria per interpretare il presente. Un presente che guarda al futuro. E in questo presente ci siamo anche noi». Così questa piattaforma espositiva sul mare di Venezia, di fronte al Campanile di San Marco, fra due fari, le barche a vela, e i gabbiani che qui planano felici, è pronta a navigare verso mete lontane, raccontando storie fotografiche. Del passato o del presente, ma che di certo parlano al futuro. In mostra 296 opere (scelte dall’archivio di 10mila immagini stampate di Mulas, custodito dalle due figlie di Mulas, Melina e Valentina), tra cui 30 immagini mai esposte prima d’ora, fotografie vintage, documenti, libri, pubblicazioni, filmati che offrono una sintesi in grado di restituire una rilettura complessiva dell'opera del fotografo nato a Pozzolengo, nel 1928, e morto a Milano nel 1973.

Fotografo degli artisti, e tanto altro. La sua produzione passa dal teatro alla moda, dai ritratti di amici e personaggi della letteratura, del cinema e dell’architettura (molti dei quali mai esposti prima, come quelli di Alexander Calder, Christo, Carla Fracci, Dacia Maraini e Alberto Moravia, Pier Paolo Pasolini, Arnaldo Pomodoro, George Segal, per citarne alcuni) ai paesaggi, dalle città alla Biennale di Venezia e ai protagonisti della scena artistica italiana e internazionale, in particolare della Pop Art, fino ai raffinati nudi, ai gioielli e alle scenografie, come le suggestive lune per Woyzeck (1969), o i reportage (in quattro scatti il ritratto della Germania dopo la Seconda guerra mondiale). Da un cammino lungo quattrodici capitoli tematici emerge il profilo di un fotografo davvero “totale”, che ha affrontato tematiche e soggetti diversi nel corso della sua breve e intensa esperienza, con la consapevolezza che la fotografia non è mera documentazione, ma testimonianza e interpretazione critica della realtà. A raccontare Ugo Mulas meglio di tutti gli altri è Ugo Mulas stesso, «tanto che i suoi libri – riprende Salvadori - sono il testo di riferimento sul suo lavoro». Una frase amava del Galileo di Brecht, che ha fotografato in scena a teatro: «La verità è figlia del tempo e non dell’autorità». Ugo Mulas «non voleva mai essere autoritario rispetto a chi aveva di fronte o che ritraeva. Non era mai vanitoso davanti agli altri E questa mostra lo dimostra ampiamente. Il tempo – spiega Salvadori - va preso nel momento in cui le cose succedono. E la capacità di cogliere quel momento è la cosiddetta contemporaneità. Che non è un aggettivo, ma è un pensiero. La forma di poter costruire davvero la modalità di poter essere in un contesto, in un luogo e costruire qualcosa».

Costruire per immagini, nel tempo che si vive. Denis Curti, alla presentazione della mostra, cita Ferdinando Scianna, grande amico di Mulas, che collega il pensiero del maestro alla poetica di Emilio Isgró. Artista che non si chiedeva che cosa fosse la scrittura, perché voleva salvare le parole, e con le sue cancellature ha veramente salvato le parole. Allo stesso modo Ugo Mulas, fotografo degli artisti e molto altro, in modo assoluto e definitivo, «ha salvato le immagini». E la fotografia. Un “eroismo” e una generosità da scoprire nelle nuove Stanze dell’isola di San Giorgio, con la testa alla Vita agra del Jamaica. Cinquant’anni dopo.

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