sabato 24 febbraio 2018
Ecco perché è l'ora di uscire dal passato e unire i credenti. La testimonianza di un teologo di Shanghai
Una processione di cattolici in Cina (Ansa)

Una processione di cattolici in Cina (Ansa)

COMMENTA E CONDIVIDI

Chiaretto Kin Sheung Yan è un teologo cinese di stanza a Shanghai. È ricercatore all'Istituto Universitario Sophia di Loppiano, fondato da Chiara Lubich e guidato da Piero Coda. Ha conseguito il dottorato in Missiologia alla Pontificia Università Gregoriana di Roma. Ha pubblicato nel 2015 con EMI «Il Vangelo oltre la Grande Muraglia» (288 pagine, 18 euro) con prefazione dello storico Agostino Giovagnoli.


Per me, questo momento è propizio per l’unita della Chiesa in Cina. Vescovi, sacerdoti, religiosi e laici, sia ufficiali sia sotterranei, stanno seguendo attentamente e con la preghiera il dialogo tra Cina e Santa Sede, perché sentono che ci si sta facendo carico dei problemi. Questa è la voce della 'maggioranza silenziosa' che più propriamente rappresenta oggi la Cina cattolica. Non c’è contraddizione nell’essere pienamente cristiano e pienamente cinese. E ciò mi fa pensare al kairos che in questo momento vive la Chiesa. Papa Francesco nella Evangelii gaudium parla dei quattro princìpi interpretativi della realtà sociale, tra i quali quello per il quale « l’unità prevale sul conflitto ». La questione della Chiesa in Cina non si risolve intorno a un tavolo di tribunale ma di comunione. Non bisogna cadere nella logica di vincitori-perdenti. Purtroppo ci sono alcuni nella Chiesa che, forse per mancanza di umiltà, sono fissati sul passato e insistono a voler avere sempre ragione. Questo condiziona anche altri nel poter uscire dal passato. Siamo spettatori di un dramma in corso di svolgimento e che può avere un finale imprevedibile.

Credo profondamente che lo Spirito Santo sia alla guida della Chiesa. Già papa Giovanni Paolo II aveva intenzione di risolvere il 'problema cinese'. Con grande comprensione cominciò a perdonare e a riconoscere i vescovi 'ufficiali'. C’è una grande continuità tra i Papi recenti. Benedetto XVI con la sua lettera pastorale ai cinesi nel 2007 ha poi dato una base solida all’intenzione di venire a capo del 'problema'. Papa Francesco con spirito di comunione e la sua volontà di avvicinare i poveri, gli umili e gli emarginati ha conquistato la simpatia dell’autorità e il popolo cinese.

Quello che sta succedendo tra Cina e Vaticano è balzato all’attenzione internazionale a causa alla controversia relativa ai vescovi di due diocesi cinesi. Se mi si chiedesse un parere sul caso del vescovo Zhuang userei un’espressione e un approccio cari a papa Francesco: « La realtà è più importante dell’idea ». Le polemiche sono state create ad arte. Ho insegnato al Seminario per la Cina centrale e meridionale a Wuhan, e da quello che so posso indicare tre punti fermi. Prima di tutto, non esistevano comunità clandestine nella diocesi di Shantou. Tutti i sacerdoti hanno studiato in seminari ufficiali (ad esempio il Seminario di Wuhan), incluso il vescovo Zhuang, che ha studiato nel seminario di Shanghai. Zhuang è membro dell’Associazione Patriottica (Ap) sin dagli anni 90 ed è stato vicepresidente dell’Associazione Patriottica di Jieyang, uno dei quattro decanati della diocesi di Shantou, dal 2005 fino a oggi. Questa appartenenza all’Ap non è mai stata un problema per la comunità cattolica della diocesi di Shantou. In secondo luogo, la causa della divisione nella diocesi di Shantou era dovuta a diverse affiliazioni religiose tra i gruppi dialettali di Hakka e Chaozhou. C’erano divisioni nascoste sulla questione della leadership. Una ferita aperta, già menzionata nel mio libro Il Vangelo oltre la Grande Muraglia (a pagina 254), perché i cattolici cinesi si trovano di fronte all’urgenza di tornare al messaggio evangelico di amore e di unità. In terzo luogo, l’intera questione intorno a Zhuang è stata molto politicizzata mentre la prospettiva di papa Francesco e della Santa Sede è puramente spirituale e la loro priorità è pastorale, orientata solamente al bene della Chiesa in Cina.

Riguardo al caso della diocesi di Mindong, invece, la situazione non è 'bianca o nera'. Il problema non sta nel fatto di sapere quanti siano i fedeli clandestini e quanti quelli ufficiali, e se siano di più o di meno gli uni o gli altri. La maggior parte dei fedeli riconosce un vescovo quando è legittimo o legittimato. Anche se Zhan prende il posto di vescovo ordinario mentre per Guo è riservato quello di vescovo ausiliare, ciò che conta è la riconciliazione. La priorità per i vescovi non è il potere ma il loro impegno pastorale. Bisogna avere un quadro più grande, puntando a risolvere la 'questione dei vescovi' nel suo insieme. Quest’ultima impostazione è anche più consona alla cultura orientale e al principio di Francesco per cui « il tutto è superiore alla parte».

Da cinese che vive in Cina, la mia impressione è che la questione della Chiesa cattolica nel mio grande Paese sia stata molto politicizzata, strumentalizzata ed esagerata, rinunciando a focalizzare l’attenzione sulla testimonianza di amore vicendevole e sull’evangelizzazione, nel servizio sociale reso per il bene del popolo. C’è piuttosto da interpellare la Chiesa che è in Hong Kong, a Taiwan e a Macao, chiederle e chiedersi se essa vive la propria vocazione di Chiesa-ponte, mantenendo la piena comunione con la Chiesa universale e nello stesso tempo avendo a cuore la sua comunione con la Chiesa in tutta la Cina, invece di essere strumento politico di qualcuno. Purtroppo proprio a Hong Kong negli ultimi anni di disordini sociali i giovani spesso sono stati manipolati dai politici. E Hong Kong non solo non fa da ponte ma diventa ostacolo per il dialogo Cina-Vaticano.

La Cina è una realtà multiforme con 56 etnìe e 5 religioni principali. Il ruolo dell’autorità cinese è governare bene il Paese. Il periodo dell’ideologia è già largamente passato o, comunque, sta passando. L’autorità cinese non ha alcun interesse a cambiare la teologia cattolica: la sua preoccupazione è principalmente amministrativa, tipico di una cultura confuciana. Un editoriale del Global Times, giornale del Partito comunista cinese, quale giorno fa affermava che «nonostante la difficoltà del processo un vasto numero di persone non cattoliche non è mai stata fortemente contro il Vaticano. L’opinione pubblica generalmente rispetta ogni Papa». Ed è un fatto che papa Francesco gode di un’immagine positiva presso l’opinione pubblica cinese. Ci si aspetta che porterà avanti le relazioni tra Cina e Vaticano e risolverà i problemi correlati con saggezza. La Cina e il Vaticano «prima o poi stabiliranno relazioni diplomatiche», un accordo «sarebbe di estremo beneficio per i cattolici».


Francesco, con la sua lungimiranza, non limita il suo sguardo solo ad alcuni milioni di cattolici in Cina, ma guarda alla pace e alla concordia del mondo intero e vuole stabilire un dialogo e un’amicizia con la Cina. Questo è un momento di kairos, il tempo è arrivato, secondo il principio per il quale « il tempo è superiore allo spazio ». È un appuntamento con la storia, se vissuto bene: realizzerà l’unità della Chiesa, e soprattutto il cristianesimo potrà diffondersi in Cina senza l’etichetta di 'religione straniera'. Questo sviluppo delle relazioni Cina-Vaticano è atteso da troppo tempo, ormai. Sarà un bene non solo per la Cina e per la Chiesa ma contribuirà alla pace del mondo e all’armonia dell’umanità intera.

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: