mercoledì 9 febbraio 2022
Riemerge il romanzo autobiografico del poeta istriano Ligio Zanini, amato da Mario Rigoni Stern, che perse tutto, moglie, figli e lavoro, ma non la speranza, nel gulag voluto da Tito
I resti del campo di prigionia dell’Isola Calva (Goli otok)

I resti del campo di prigionia dell’Isola Calva (Goli otok) - archivio

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Nell’italiana Rovigno (oggi Croazia) del 1927, incantevole perla veneziana sulla costa istriana, nacque Martin Muma, “fragile creaturina perché pensante”. Allora l’Italia intera, Istria compresa, era governata da “Testa Quadrata” (così i marinai rovignesi chiamavano il duce) ed essere “pensanti” costituiva un problema non da poco. Ma Martin Muma cresceva comunque felice seguendo il detto “piangi con il bel tempo perché a questo segue l’uragano; ridi con il maltempo perché domani splenderà il sole”… Così Martin “ha riso quasi sempre”, perché di uragani nella sua Istria “grappolo di terra rossa e sassi bianchi” ne vedrà di terribili, quando le nuove Teste Quadrate di colore opposto siederanno al posto delle vecchie…

Martin Muma è l’unico romanzo di Ligio Zanini, il massimo poeta istriano del Novecento. Un libro prezioso, scritto di nascosto durante gli anni bui della dittatura comunista jugoslava e per questo emerso solo a tratti in passato e con fatica, per poi sparire di nuovo, come un fiume carsico. Solo nel 1990, tre anni prima della morte del suo autore a Pola, la rivista della comunità italiana di Rovigno La Battana osava pubblicare il romanzo, che come libro vero e proprio uscirà finalmente nel 1999 a Fiume, e a Trieste nel 2008. Ma è solo grazie alla Ronzani Editore di Vicenza se in questi giorni il capolavoro di Zanini, curato da Mauro Sambi (406 pagine, 19 euro), riemerge per intero e nella sua veste originale (ovvero senza amputazioni né “correzioni”), restituendoci non solo un’opera letteraria che da oggi meriterà un posto tra i grandi romanzi italiani, ma anche un documento capace di svelarci pagine di storia praticamente sconosciute. Sì, perché Martin Muma, alter ego di Zanini, racconta la sua vita di giovane istriano non partito con l’esodo per sfuggire al nuovo regime di Tito, ma “rimasto”, in quanto allora fervente comunista. Se infatti la memorialistica fiorita soprattutto dopo l’istituzione del Giorno del Ricordo proviene in gran parte dal mondo della diaspora, la prospettiva di Zanini è quella opposta dei pochi italiani “rimasti”, dunque testimoni di una storia ancora oggi ostaggio di antiche paure.

Ma non si pensi a un romanzo greve o ideologico, perché Zanini, inguaribile sognatore, perdutamente innamorato della sua terra, spalanca scenari di autentica poesia, offre struggenti spaccati di vita istriana, passa con agilità dal registro lirico al più sagace umorismo. “Martin Muma più leggero di una piuma” era in realtà un personaggio del Corriere dei Piccoli anni ’30, un bambino che per sfuggire alle brutture della vita si lasciava trasportare dal vento sopra le cose del mondo, e questo fa il piccolo Martin/Zanini, che si libra per sopravvivere e ci porta con sé nei suoi voli carichi di presagi.

In genere i romanzi storici mischiano vero e verosimile, qui invece non c’è nulla di inventato, le vicende e i personaggi sono tutti reali, così come i luoghi sono chiaramente riconoscibili da chi ha frequentato – anche solo da turista – le calli di Rovigno, l’Istria di pescatori e contadini, le vie cittadine di Pola, con le sue scogliere, le baie e le pinete. Veri e riconoscibili persino i suoi compagni e professori di scuola (e maestri di vita), tra i quali il docente di lettere Callegarini, fondamentale nella formazione di Zanini letterato, al quale cioè si deve l’originalissima lingua con cui è scritto il romanzo, infarcito liberamente – e anzi fieramente – di dialettismi istroromanzi e di termini inventati (la “pocacqua” per la battigia, “l’asciugavele” per gli sprazzi di bora, gli “accasamiacitengo” per gli ottusi burocrati fascisti venuti in Istria dal Sud Italia per “civilizzare” una terra già civilissima da secoli, multietnica e cosmopolita).

E’ lo stesso professor Callegarini che, pur da antifascista, mette in guardia l’allievo dai suoi amici comunisti filo-jugoslavi e da Tito stesso (“moderno Garibaldi e onesto perché operaio”, protesta convinto Martin/Zanini, “con lui l’Istria non sarà né dell’Italia né della Jugoslavia, ma una libera terra nell’Unione Socialista Mondiale, in cui non ci saranno più guerre”). Troppo giovane e idealista, non può ancora cogliere la profezia fin troppo facile del professore polesano, impegnato nella lotta partigiana “ma per non ricadere domani sotto un altro mostro, anche se di colore opposto”.

La tragica disillusione con cui gli istriani – e solo loro in tutta Italia – hanno vissuto il paradosso di passare non dal fascismo alla Liberazione, ma da un regime fascista direttamente a un regime comunista, è poi resa in modo lucido dai tanti personaggi, così veristi da sembrare appena usciti dalle pagine di Giovanni Verga. Anche loro, come i vecchi di Aci Trezza, desumono la saggezza da antichi proverbi marinari, anche loro parlano un dialetto più efficace dell’italiano, anche loro hanno soprannomi che scolpiscono i loro volti seccati dal sale e dal sole. L’ascendenza verghiana d’altra parte è esplicita (“se i pescatori di Aci Trezza parlavano per la penna del Verga un italiano dal profumo siciliano”, anche Martin/Zanini “poteva dire qualcosa che avesse l’aroma del ginepro istriano”).

La seconda parte del romanzo però cambia drasticamente. I toni onirici del leggiadro Martin Muma cedono il posto alla lingua asciutta e disperata di Zanini, ora perseguitato dal regime di Tito in quanto pensante, dunque “nemico del popolo”. Sconcerta la fantasia disumana con cui gli internati sull’Isola Nuda (Goli Otok) vengono “rieducati” e sprofondati nel male assoluto. Zanini e i suoi compagni ora sono rastrellati dai titini con le identiche modalità con cui pochi anni prima altri italiani d’Istria erano stati strappati dalle loro case, (“i prelevamenti venivano fatti durante le ore notturne, e così il sonno era interrotto ad ogni rumore di automobile, essendo quelle poche allora in circolazione quasi tutte del partito”). Sull’isola gulag il giovane Zanini resta tre anni, dal 1949 al 1952, reo solo di aver chiesto di dimettersi dal partito comunista, e lì ritroverà tanti compagni di lotta partigiana, già torturati e disumanizzati (“I signemo piersi, Martèin, cun ‘sti muostri ch’i xi pieso dei fassèisti”, siamo perduti, Martino, con questi mostri che son peggio dei fascisti). Lasciamo alla lettura del libro la descrizione di ciò che avveniva a Goli Otok, dove “chi ideò la tattica di fare agire le stesse vittime per autodistruggersi, può essere definito un vero genio del male che ha superato di gran lunga i propri maestri: Hitler e Stalin”. Eppure, denuncia Zanini e questo va meditato, “l’ideatore della tattica di annientamento più progredita rimane, per il cosiddetto mondo libero, un uomo dalle mani pulite”. Vomitati a migliaia sull’Isola Nuda dalla stiva della nave “Punat”, i “puniti” da Tito (per il loro bene!) si snaturano in robot riprogrammati, che si torturano l’un l’altro come in un inferno dantesco pur di evitare il kroz stroj (l’obbligo di correre per chilometri, nudi e scalzi sulle pietre taglienti, tra due ali di prigionieri che li massacrano con calci e pugni) e intanto gridano per ore, allucinati, Tito partija, Tito partija: la “fede” nel partito. Persino qui però Martin/Zanini non rinuncia al suo ideale di libertà e piuttosto che piegarsi va incontro a prolungamenti di pena.

Tornerà a casa dopo anni, “reso irriconoscibile dalle croste di sangue e di diffidenza”. Perderà tutto, moglie, figli, lavoro. Ma mai la sua manìa di sperare nell’uomo: “Tendo all’Unione Europea – concluse così il suo libro –, convinto che i miei pronipoti imposteranno su solide basi il problema di un sincero abbraccio fra gli uomini di tutti i continenti”. Zanini il “rimasto” perché comunista (“ci siamo tremendamente ingannati”), ma soprattutto perché non sa rinunciare a quell’Istria “terra delle nostre radici millenarie”, è la risposta a qualunque dittatura, nera o rossa che sia, titina o stalinista, a “ogni deficiente regime a partito unico” che “si priva della grazia di un’opposizione”, cioè degli uomini pensanti (“oggi quasi tutti lo sanno, esclusi i cretini e gli arrampicatori”).

Quanti decenni ci ha messo Martin Muma per venire alla luce. Eppure – scrisse Mario Rigoni Stern – era “un esempio di come e perché un libro deve essere scritto”. Allora ci uniamo all’auspicio di Ezio Giuricin, che oggi in prefazione alla nuova edizione scrive: “Quel ragazzo più leggero di una piuma ora sta per intraprendere un nuovo viaggio. La speranza è che possa incontrare un vento nuovo che lo porti veramente lontano”. Nel posto che merita e in ogni antologia.

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