martedì 4 ottobre 2011
​Vent'anni fa il documento Cei: anticipava l'esplodere di Tangentopoli denunciava le complicità con le mafie e l'emergenza evasione fiscale.
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«La "legalità", ossia il rispetto e la pratica delle leggi, costituisce una condizione fondamentale perché vi siano libertà, giustizia e pace tra gli uomini». Cominciava così, venti anni fa, il documento "Educare alla legalità", presentato il 4 ottobre 1991 dalla Commissione ecclesiale Giustizia e pace della Conferenza episcopale italiana. Un documento "storico", profetico, ma anche di estrema attualità. Che anticipava la stagione di "tangentopoli", parlando poi di evasione fiscale (chi non paga le tasse «si ribella» all’autorità che viene da Dio) e di «criminalità dei colletti bianchi». Denunciava l’abuso dei condoni perché «favorisce nei cittadini l’opinione che si può disobbedire alle leggi dello Stato» e che «la furbizia viene sempre premiata», ma anche la mancanza di «mobilitazione delle coscienze» contro il crimine, «la rincorsa al "bene-avere"» che «spesso ha oscurato l’esigenza del "bene-essere"». Toccando temi che oggi, più che mai, sono in primo piano: «Non vi è solo paura, ma spesso anche omertà; non si dà solo disimpegno, ma anche collusione; non sempre si subisce una concussione, ma spesso si trova comoda la corruzione per ottenere ciò che altrimenti non si potrebbe avere. Non sempre si è vittima del sopruso del potente o del gruppo criminale, ma spesso si cercano più il favore che il diritto, il "comparaggio" politico o criminale che il rispetto della legge e delle propria dignità». Ecco dunque la necessità di leggi che obbediscano «alla tutela e alla promozione del bene comune», e che «dovrebbero nascere come espressione di giustizia e dunque di difesa e di promozione dei diritti della persona», mentre «spesso sono il frutto di una contrattazione con quelle parti sociali più forti che hanno il potere di sedersi palesemente o meno al tavolo delle trattative dove esercitano anche il potere di veto». E questo ha portato ad un aumento di «leggi "particolaristiche"». Ma i vescovi sottolineavano anche «come necessario presupposto un rinnovato sviluppo dell’etica della socialità e della solidarietà». Legalità, solidarietà, giustizia, carità. Elementi inscindibili. «La legalità – si leggeva nelle conclusioni – è una forma particolare della giustizia. E questa, a sua volta, nasce e fiorisce sul riconoscimento della dignità personale di ogni uomo e quindi dei suoi diritti e dei suoi doveri e sul riconoscimento dell’essenziale dimensione sociale della persona. Per questo – ricordava ancora il documento – la giustizia e la legalità, colte nelle loro radici profonde, scaturiscono dalla moralità e si configurano come amore - e per i credenti come carità o amore evangelico - verso ciascuna persona e verso la comunità». Un invito preciso quello di venti anni fa. «Il cristiano non può accontentarsi di enunciare l’ideale e di affermare i principi generali. Deve entrare nella storia, promuovendo tutte le realizzazioni possibili dei valori evangelici e umani della libertà e della giustizia». Con una precisa caratterizzazione. «Saper coniugare carità e giustizia: sono tra loro coordinate e intimamente unite, sicché insieme sussistono o cadono; ma il principio ispiratore è la carità».
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