mercoledì 24 aprile 2024
Da stasera su Sky Tg24 e Sky Documentaries tre doc su Cape Town dove le morti violente sono le più alte al mondo. L'autore: «Racconto il sogno spezzato della Nazione Arcobaleno»
Pablo Trincia in una sequenza del doc “Essere Umani: le cicatrici di Cape Town” , in onda su Sky Documentaries e Sky Tg24

Pablo Trincia in una sequenza del doc “Essere Umani: le cicatrici di Cape Town” , in onda su Sky Documentaries e Sky Tg24 - SKY

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Trenta anni fa, con le prime elezioni a suffragio universale e senza discriminazioni razziali in Sudafrica tra il 26 e 29 aprile 1994, iniziò il sogno della Nazione Arcobaleno. Con la fine dell’apartheid, la vittoria dell’Anc (l’African National Congress) di Nelson Mandela e la sua elezione a presidente della repubblica arrivava la promessa di una nuova convivenza civile tra bianchi e neri e di una distribuzione delle ricchezze più equa. Ma oggi invece il Sudafrica è il regno delle diseguaglianze sociali e, soprattutto, uno dei paesi più violenti al mondo.

Si sviluppa dalle baraccopoli più pericolose di Città del Capo il racconto di un sogno spezzato Essere Umani: le cicatrici di Cape Town Un viaggio di Pablo Trincia in onda su Sky TG24 e Sky Documentaries il 24, 25 e 26 aprile alle 21. Dopo il primo viaggio a Mumbai la docuserie Sky Original in 3 episodi prodotta da Sky Italia e Sky TG24, realizzata da Chora Media e curata dall’autore e podcaster Pablo Trincia, per la regia di Paolo Negro, fa tappa a Cape Town, famosa oggi per il turismo ma famigerata anche per la violenza e l’alto tasso di criminalità che la rendono la città con il più alto numero di omicidi più al mondo. Nelle cosiddette township, un’intricata serie di baracche in lamiera - a pochi minuti dal centro - dove a inizio Novecento vennero segregati gli abitanti neri della città, oggi ci sono circa 120 gang in tutta Cape Town, di cui farebbero parte almeno 100 mila persone in costante lotta tra di loro. Abbiamo imparato a conoscere negli anni Trincia come appassionato e competente indagatore nei luoghi più difficili del pianeta, alla ricerca di storie di una umanità disperata a cui ridare dignità attraverso documentari, podcast e libri. Cosa che accade anche nella sua nuova indagine, che non volta lo sguardo davanti alla durezza della realtà che nasce dalle ferite di una popolazione ridotta allo stremo e senza una prospettiva che non sia l’appartenenza a una gang, fra rapine, sparatorie e droga. Il reportage è riuscito infatti a documentare eccezionalmente i luoghi più inaccessibili della città, dove le statistiche rilevano il 60% di disoccupazione giovanile e l’emergenza criminale rischia di essere una bomba ad orologeria per la tenuta sociale di un Paese già profondamente lacerato.

«In occidente la morte non la pensi violenta, ma per malattia – spiega Pablo Trincia -. Io ero curioso di vedere una città in cui metti in conto che tu potresti morire in quel modo. Mi interessava raccontare un mondo con quei parametri, dove incontri i parenti di una donna morta ammazzata che quasi non piangono, dove è normale che i bambini vengano uccisi nelle sparatorie, dove il valore della vita è diverso rispetto al nostro. Per capire». Come si vede nella prima puntata Il bianco e il nero le diseguaglianze sociali spaccano infatti ancora la città in due: da una parte i grattacieli, le ville coloniali, i grandi parchi, le piscine, i campi da golf e le molte attrazioni turistiche, dall’altra baraccopoli di lamiera con una latrina ogni mille persone. Dove Trincia si addentra accompagnato da un autista e da un bodyguard. «Volevo raccontare il tribalismo urbano che non ci si aspetta in luoghi in cui c’è stato il progresso, che hanno vissuto le riforme – aggiunge il giornalista -. Il Sudafrica non è un luogo qualsiasi, era una terra promessa e poi si arriva lì per scoprire che il numero dei morti è spaventoso, che ci sono 15mila rapimenti al giorno, che la sicurezza è costituita da 2 milioni 700mila vigilantes privati a servizio di chi se lo può permettere contro 110mila poliziotti. Contraddizioni causate anche dalla corruzione della politica ».

Nell’episodio Nessuna pace, am-bientato ad Hanover Park, Pablo Trincia intraprende un viaggio nei covi e nascondigli delle peggiori gang di Cape Town, in posti dove non si entra se non accompagnati da qualcuno che garantisce per te e dove la guerra tra gang sembra non finire mai. Ma qui già appare una figura protagonista dell’ultimo episodio Anche solo un’ora: il pastore Craven Engel. Nelle sparatorie quotidiane, rimangono vittime uomini, donne e bambini che nulla hanno a che vedere con le gang. Che ci sia una possibile via di uscita dalla violenza è fortemente convinto il religioso e con la sua associazione “Cease the fire” (Cessate il fuoco) da molti anni si batte per tirare fuori dalle gang quante più persone possibili che poi diventano mediatori di pace nei vari quartieri. « La pace a Hanover Park, anche se di un’ora sola, è un dono dal cielo – aggiunge l’autore -. Come fa questo pastore. Quando provi a svuotare il mare con una tazzina, per quanto assurdo, ci stai provando. Se rallenti il tempo, è tantissimo. Ognuno può fare la sua parte». La parte di Trincia è quella di guardare anche con compassione a questa umanità perduta. «Vedo un aspetto molto infantile nelle gang, sono dei bambini che si conciano da maledetti e che non hanno avuto genitori, né affetto, nessun tipo di educazione e una grande sofferenza – spiega -. Sono vittime al cento per cento esattamente come quelli che loro uccidono nelle sparatorie». Quale, quindi, l’obiettivo del documentarista? « Non giova a nessun povero di Cape Town che in Italia qualcuno guardi il programma, ma va più a beneficio nostro – spiega Trincia -. L’obiettivo è insegnare soprattutto ai giovani la realtà che c’è fuori. Il mio lavoro è raccontare storie che chiedono giustizia, verità e impegno sociale. Lo interpreto così, come una missione».

La nuova missione di Trincia ora sono i giovani, con il suo esordio come narratore per ragazzi: uscirà il 14 maggio per De Agostini Libri Se non muoio domani. Viaggio di tre ragazzi migranti, libro in cui l’autore racconta con il suo stile coinvolgente le storie di Fatima in fuga dall’Afghanistan, Omar dall’Africa e Sasha dall’Ucraina. « Io da ragazzino ho letto delle cose che mi hanno aiutato. I ragazzi sono fertili, sono un pubblico che va educato, gli va insegnato uno sguardo e una curiosità. Raccontare ai ragazzi che queste persone sono molto più simili a loro di quanto possano immaginare. Racconto il loro passato, le loro case, le loro famiglie, così i ragazzi possano dirsi ”ma quante cose ho in comune con loro».

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