sabato 25 ottobre 2014
Il segretario generale della Cei al convegno "Nella precarietà la speranza" toccato il tema della “mancanza di gerarchia dei riferimenti su cui orientare le nostre decisioni e la nostra vita”.
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“Oggi siamo nomadi perché precari”. È lo slogan scelto dal segretario generale della Cei, monsignor Nunzio Galantino, che ha aperto questa mattina a Salerno la tavola rotonda “Perché e per cosa sperare nella precarietà”, organizzata nell'ambito del convegno "Nella precarietà la speranza". Al dibattito sono intervenuti il ministro del lavoro, Giuliano Poletti, il direttore di Federmeccanica, Stefano Franchi, il segretario confederale Cisl, Luigi Sbarra, e il direttore di rete di Tv2000, Paolo Ruffini. “Siamo nomadi quando non abbiamo più certezze in ambito religioso, politico e sociale - ha proseguito il vescovo -. Abbiamo perso molte di queste certezze non solo perché soggettivamente instabili o indecisi, ma perché si sono dissolte in larghi strati e non sono più riconosciute come valori stabili e universali”. “La condizione odierna potrebbe essere rappresentata come un Pantheon che ha tanti altari, ma tutti equidistanti dal centro. Ci manca un punto centrale di riferimento e questo è il simbolo della nostra condizione”. Il segretario della Cei ha parlato di “mancanza di gerarchia dei riferimenti su cui orientare le nostre decisioni e la nostra vita”. “Viviamo la precarietà e provvisorietà a vari livelli: nelle coppie, nella società, nel lavoro. Dobbiamo prendere coscienza e realisticamente imparare ad affrontare e orientare le nostre scelte contando su una ‘speranza ragionevole’”. “Molte volte si semina una speranza che è parente dell’illusione - ha proseguito Galantino -. L’Unione europea ha tentato di orientare positivamente con la ‘flexsecurity’, nel tentativo di far sì che la flessibilità generi nuovi posti di lavoro. Qualcuno si è lasciato un po’ troppo abbagliare da questa formula che è diventata una specie di mantra. Ma non dobbiamo lasciarci abbagliare da questi tentativi”. “Il sistema europeo si è dimostrato incapace, a differenza di quello statunitense, di garantire a chi esce dal sistema di trovare nuove opportunità per rientrare - ha proseguito -. Questo non avviene in Europa e tantomeno nel nostro Paese. Da noi flessibilità è l’altro nome di precarietà, e entrambe sono anticamera della disoccupazione”. Secondo Galantino, “la buona occupazione non si misura sulla durata del lavoro ma sul fatto che il maggior numero abbia sempre un rapporto col lavoro”. Da qui il suo appello “per cui la sussidiarietà emerga come via per promuovere lavoro, concependo la disoccupazione come serbatoio di risorse e qualità da impiegare e mettere a frutto”. Da ultimo ha richiamato la “speranza cristiana che pone la persona come ‘fine’ della società. Ognuno ha una dignità sacra in quanto immagine divina. Se manca il lavoro la persona non riesce a realizzarsi e abbiamo a che fare con lo ‘scarto’, che provochiamo noi con i nostri comportamenti”. C'è stato anche spazio per una riflessione sulla cronaca politico-sindacale. “Quello che sta succedendo tristemente e malinconicamente oggi a Roma, io non lo so capire. Ma credete che questo ci porti da qualche parte?”. Lo ha chiesto, sempre durante al tavola rotonda il segretario generale della Cei, riflettendo sulla manifestazione sindacale indetta dalla Cgil contro il governo e le sue politiche sul lavoro, il Jobs Act. “Oggi a Roma sta succedendo qualcosa di originale - ha proseguito Galantino -: ci sono persone che hanno dato il 40,8% a Renzi e oggi vogliono gridare contro di lui. Come leggere questo fatto?”. Nella tavola rotonda su lavoro e precarietà il segretario confederale Cisl, Luigi Sbarra, ha auspicato che “gli imprenditori in questo momento di crisi ricomincino ad investire e non si limitino a delocalizzare le loro imprese”. Il direttore generale di Federmeccanica, Stefano Franchi, ha risposto che “è giusto l’appello a coinvolgere di più tutte le realtà, comprese le imprese, per il rilancio del Paese, ma io, girando per l’Italia, ho visto moltissimi imprenditori che sono loro per primi dei grossi lavoratori e si impegnano direttamente in azienda accanto ai loro collaboratori”.
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