In ginocchio di fronte alla basilica sventrata
martedì 1 novembre 2016

Quella foto ha fatto il giro del mondo, suore di clausura e monaci benedettini e semplici fedeli in ginocchio nella piazza di Norcia, davanti a ciò che resta della Basilica: dietro alla facciata quasi intatta, una voragine di rovine. Ha un sapore remoto, quella immagine: fa pensare a tempi di assedi e carestie, quando il popolo stremato implorava a Dio la pace e il pane. Invece è accaduto domenica, appena dopo l’ultima terribile scossa. Quando perfino l’asfalto delle strade si crepava, lasciando scorgere stretti abissi senza fondo; quando la nuvola di fitta polvere scaturita dalle macerie si posava, rivelando un orizzonte di nuove macerie, a Norcia ci sono stati uomini e donne che si sono inginocchiati a pregare. Per capire davvero questo gesto bisogna immaginarsi che cosa stava accadendo, intorno: boati di crolli e schianti secchi, e grida, e pianti; borghi rasi al suolo, e le strade, le uniche vie per i soccorsi, ostruite dalle macerie. Ma le facce, soprattutto, le facce degli uomini: in quella mattina, erano lì le crepe più profonde. Le facce di chi ad agosto aveva perso qualcuno di caro, di chi aveva lasciato sotto le macerie la casa e il lavoro, di chi stentava a rimettersi in piedi. Su questi volti già aspramente provati è arrivato l’altra mattina lo schiaffo possente di una nuova scossa, e più forte. Si erano coltivate delle speranze, fra i terremotati, in questi due mesi: che il peggio fosse passato, che i bambini potessero tornare a scuola, che arrivassero presto le casette di legno in cui ricostruire un focolare domestico. Ma su queste giovani timide speranze è piombato come un colpo di maglio il tuono dell’ultima scossa. Quasi a dire – lo avranno pensato in molti – che è da sciocchi, sperare; che un fato oscuro ha deciso la sorte di tanti e ora non c’è più nulla in cui confidare. Il passaggio dalla fatica alla disperazione è stato segnato, sabato, da quel boato di terra che si rivolta. Perfino ai morti, in uno di quei piccoli paesi, è stata tolta la pace, e delle bare sono cadute dai loculi. Come a indicare un nemico che non si ferma davanti a niente, e che può ritornare, incontrollabile, in un qualunque mattino. La terra che trema è qualcosa che scuote gli uomini fin nel profondo: è nostra madre, la terra, e sbalordisce che una madre possa tradire. Che possa continuare a tradire, quasi a dire alla gente: di qui, ve ne dovete andare. E immaginatevi le facce dei vecchi portati via, sulla costa, coi pullman: i vecchi che pensano che sì, forse il paese rinascerà, ma loro non ci saranno, a vedere. E dunque si dicono che tutta la loro storia è finita, in quella nube di polvere chiara. In una tale sfida alla speranza dunque, in questa inclinazione al disperare si colloca l’immagine di uomini e donne che pregano davanti alla Basilica distrutta. Qualche giornale ha scritto che quella foto racconta la disperazione di Norcia. A noi pare che dica invece di una cocciuta speranza, anzi di un tenace sperare contro ogni speranza. Quelle suore, quei monaci, vengono da conventi distrutti, da clausure profanate dal fragore di rovine, e di colonne portanti spezzate. Eppure nel momento in cui tutto è loro tolto, si mettono in ginocchio, pregano per ringraziare che questa volta nessuno sia morto, pregano per chi è fuggito e per chi maledice la sorte, per chi ha perso tutto, e anche per chi, ostinato, soccorre e conforta. Pregano, perché in questi giorni terribili gli uomini sono ricondotti alla verità del loro essere creature – cioè figli di un Padre, e affidati alle sue mani. Una dipendenza che è intollerabile agli orgogliosi, ai potenti, a chi crede di farsi da solo e reagisce con rabbia davanti all’evidenza della sua debolezza, a forze di troppo più grandi. Ma questa stessa dipendenza da Dio è alla radice della fede, e ancor più per chi radicalmente in Dio ha giocato tutta intera la vita. Perciò le monache e i benedettini si inginocchiano, in quella piazza di Norcia: inermi ma non disperati, e certi che un disegno c’è, tuttavia, perfino in quella chiesa sventrata. La foto Norcia ci ha richiamato alla memoria un’immagine dell’Indonesia sconvolta dallo tsunami. A Banda Aceh un missionario italiano e delle suore fronteggiavano il disastro di centomila morti, nel paese smembrato distrutto e coperto di fango. Prima dell’alba una candela veniva accesa in cucina, e alla luce della fiamma incerta il missionario e le suore recitavano le Lodi. Lodare Dio dal fondo dell’abisso della morte, questo ci lasciò senza fiato. Come l’audacia di quei religiosi che sabato mattina, ancora tremante la terra, hanno pregato: testimoni di una fiducia di roccia, che non oscilla nemmeno all’urto spaventevole di un sotterraneo nemico. © RIPRODUZIONE RISERVATA NORCIA. Fedeli e religiosi pregano di fronte alla basilica di San Benedetto sventrata dalla scossa di terremoto di domenica 30 ottobre ( Ansa)

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