giovedì 21 agosto 2014
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Il sole è accecante nel cuore di Baghdad. Il termometro sfiora i cinquanta gradi. Dalla strada arriva il suono delle sirene dei blindati che sfrecciano in mezzo alla polvere. «Dai, passa la palla», grida un ragazzo al compagno di squadra nel campetto da calcio che una rete separa dal bar e dalle sale con i tavolini da ping pong. Al piano superiore due palestre e alcune aule per i corsi di formazione. Si prova ad allontanare lo spettro degli attacchi e delle bombe qui, nella Cittadella dei giovani «Giovanni Paolo II». «Un’oasi di normalità in mezzo alle violenze che segnano il Paese», spiega Angiolo Rossi, direttore della Fondazione toscana intitolata al Papa santo polacco che ha costruito il centro. Il complesso si trova davanti alla Cattedrale ed è una delle poche strutture protette dove i cristiani della capitale irachena possono incontrarsi. Ogni giorno sono centinaia i ragazzi che la frequentano. «E a loro si aggiungono molti adulti», prosegue Rossi. L’eco delle persecuzioni che nel nord del Paese stanno colpendo le minoranze religiose entra anche fra queste mura. «Persino qui i cristiani fanno fatica a uscire di casa – afferma il direttore –. Una parte rilevante della comunità è già fuggita verso il Kurdistan. E chi è rimasto ha paura. In troppi ripetono di voler andare verso Erbil o addirittura di emigrare all’estero». Il timore degli attentati è all’ordine del giorno. Anche quando è stata inaugurata questa cittadella della speranza, all’inizio dell’anno, la cerimonia è stata in sordina per non dare nell’occhio e non correre il rischio di qualche assalto. «Il Centro è una scommessa per il futuro – sostiene Rossi –. E vuole essere un piccolo aiuto alla comunità cristiana locale per scongiurare che venga meno la millenaria presenza dei nostri fratelli nella fede in questa terra». Allora, ecco, che accanto ai campi sportivi, la cittadella diventa anche una sorta di scuola sui passi di Wojtyla per educare i ragazzi alla libertà, alla democrazia, all’impegno civile e sociale, al dialogo, alla riconciliazione. «Ed è anche un tentativo di avvicinare la comunità cristiana a quella musulmana, anche se i ragazzi islamici che partecipano alle attività sono pochi», riferisce il direttore. Il complesso è uno degli interventi caritativi più importanti realizzati nella capitale irachena da una Chiesa dell’Occidente. Ed è stata proprio la Conferenza episcopale italiana, in collaborazione con la Fondazione «Giovanni Paolo II» nata dall’impegno in Medio Oriente delle diocesi di Fiesole e Montepulciano-Chiusi-Pienza, ad aver accolto l’invito dell’arcidiocesi di Baghdad dei Latini di realizzare un centro polivalente a servizio dei giovani. «Intanto stiamo studiando anche un nuovo progetto – annuncia il direttore –. Con la nunziatura apostolica a Baghdad e le ambasciate di Italia, Stati Uniti e Australia è in agenda l’ipotesi della riapertura di una scuola chiusa durante l’ultima guerra del Golfo. Lo stabile era stato confiscato dalle autorità locali e soltanto di recente è tornato alla Chiesa latina. La sfida è di seminare un ulteriore seme di speranza in questa città martoriata».
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