giovedì 7 agosto 2014
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Alla fine la casa per Marta e Mauro non è arrivata. Almeno per ora. I due neo sposi down in cerca di un appartamento a Roma in cui vivere la loro storia d’amore rischiano infatti, al ritorno dal viaggio di nozze a settembre, di non avere nemmeno un paio di stanze in affitto. Eppure le possono pagare, dato che entrambi hanno un lavoro: Marta come receptionist e Mauro da impiegato. All’appello lanciato dall’Associazione italiana persone down (Aipd), difatti, aveva risposto un giovane insegnante di sostegno, che poi ha dovuto ritirare l’offerta. L’appartamento pensato per i due sposini appartiene a suo padre che non ha voluto saperne di affittarlo. Probabilmente perché – avrà pensato – due disabili non sono inquilini qualsiasi.La storia di Mauro e Marta mette sul tavolo la questione della residenzialità per le fasce deboli. A uno Stato che da anni non mette mano a un serio piano casa, fanno da contraltare lungo lo Stivale esperienze di cohousing, cioè di condivisione dell’alloggio. Per affrontare meglio la crisi e dividere le bollette, ma anche per vincere la solitudine e garantire l’indipendenza ai disabili adulti.Prendiamo le persone con sindrome di down. Sei su dieci in Italia hanno superato i 18 anni e, oltre al lavoro, hanno bisogno di una casa. Il nodo, secondo la coordinatrice nazionale Aipd Anna Contardi, sta proprio nel fatto che le persone con disabilità «sono viste come oggetto di assistenza e non come soggetti di reciprocità». L’approccio nuovo sta dunque nel cambio di punto di vista, dice, magari con «modelli meno rigidi e più creativi», persino riguardo il cohousing tra disabili. Finora non se ne vedeva l’urgenza, perché «erroneamente si pensava che dovesse essere la famiglia ad occuparsi di loro», mentre il pubblico entrava in gioco solo quando i genitori non erano più in grado di farlo. La disabilità adulta così «è stata per troppo tempo trascurata». Ma adesso il tema della residenzialità è prioritario, aggiunge Contardi, e va inteso «non solo per il dopo di noi, ma attraverso progetti a bassa assistenza che preparino al distacco nel durante noi».Pur essendo un diritto, la casa nel nostro Paese è stata considerata tante volte un patrimonio su cui far cassa per rimpinguare il bilancio pubblico, invece che «il luogo dove si realizza un progetto di vita». Guido Piran, segretario generale del Sicet (Sindacato inquilini casa e territorio) plaude a quei progetti che non «ghettizzino» categorie fragili della società o non liquidino il problema con i voucher, anche se è convinto «non possa essere demandata solo ai privati o al Terzo settore la risoluzione di una questione così delicata come quella abitativa». La chiave di volta, secondo lui, sta nel cambio di scelta strategica pubblica sulla casa. «Se si avesse a disposizione un patrimonio pubblico da dare in affitto calmierato – sottolinea – sarebbe più facile guardare al diritto a un tetto di certe categorie», come i disabili maturi.Eppure la vivacità degli esperimenti messi in cantiere negli ultimi anni dalle associazioni rendono l’idea di quanto nel nostro Paese il valore dell’abitare sia negato a molti. E soprattutto di come la crisi prima, e la crescente povertà poi, abbiamo fatto il resto. Basta pensare agli anziani soli; proprio loro sono difatti i protagonisti del silver housing, la convivenza tra capelli d’argento, messa in campo anche dalla Comunità di Sant’Egidio. «Così si evita che i nonni vadano in istituto – ricorda Olga Medoro della comunità fondata da Andrea Riccardi – e inoltre, dividendo le spese, si riesce pure a sbarcare il lunario con basse pensioni». Condomini protetti, convivenze di anziani, ma anche tra diverse generazioni. L’abitare con persone di un’altra classe di età si sperimenta ad esempio a Milano, dove grazie alla collaborazione tra enti pubblici, università e associazionismo, gli anziani dividono l’appartamento con studenti fuori sede. A Torino, invece, con il servizio comunale Passepartout si avviano i disabili a una vita indipendente mettendo loro a disposizione residenze, come anche a Mirano in provincia di Venezia, dove nel villaggio solidale il cohousing intergenerazionale è una realtà dal 2011.
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