giovedì 6 ottobre 2016
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«Come vorrei essere ricordato tra cento anni? Come uno sportivo responsabile». Così parlò uno dei più grandi campioni dell’universo football, la stella olandese Johan Cruyff. Tra cento anni invece, del nostro calcio si parlerà, forse, dell’ambiente più irresponsabile che si sia mai visto. Sì, perché alla Federcalcio evidentemente in materia di 'scommesse' le lezioni del passato non sono valse a nulla. Eppure il presidente della Figc Carlo Tavecchio nel 1980 non era mica un ragazzino e quindi non può aver cancellato dalla memoria il primo scandalo del Calcioscommesse. Ricorderà sicuramente quelle volanti della polizia che 36 anni fa entrarono negli stadi della Serie A per mettere le manette ai polsi anche di illustri campioni azzurri. Il più grande talento di allora, Paolo Rossi – all’epoca tesserato del Perugia – venne messo in mezzo alla serie di partite truccate che avevano come croupier seduti al banco del totonero Trinca e Cruciani.

Un fruttivendolo e un ristoratore, due macchiette se paragonate alle maestranze sofisticate e tentacolari della malavita internazionale che oggi controlla il traffico, lecito e illecito, delle combine calcistiche. Se non gli fosse stata concessa l’amnistia in vista dei Mondiali di Spagna, Paolo Rossi non sarebbe mai diventato il 'Pablito mundial' e quel capitolo aureo della storia del calcio azzurro non sarebbe mai stato scritto. L’Italia del pallone si esalta sempre quando è in odore di scandalo. 

Questa è la vulgata che va avanti dagli anni ’80 fino all’estate incendiaria di Calciopoli, anno di grazia e disgrazia 2006. Gli azzurri di Lippi arrivarono al Mondiale di Germania scortati dalla nomea di Nazionale del malaffare. Partite pilotate, arbitri accondiscendenti, minacciati e chiusi dentro gli spogliatoi, una 'cupola' (la triade Moggi-Giraudo-Bettega) costantemente in azione per favorire la Juventus, alla quale vennero defalcati dall’albo d’oro due scudetti più la condanna alla prima storica retrocessione in serie B. E anche in quella circostanza l’effetto, alla vergogna collettiva, fu il riscatto eclatante: la vittoria del quarto titolo iridato.

Rimasero, però, tante ombre, a cominciare da quella sbiadita in fretta del più forte portiere del mondo, Gigi Buffon, che avrebbe avuto il vizietto delle scommesse. Legalizzate, certo, ma normativa vuole che un tesserato Figc non può essere cliente al banco delle puntate. E invece c’è chi lo fa. La Scommessopoli emersa nel 2011 con l’inchiesta di Cremona denominata Last Bet ha visto indagati 61 tesserati, 28 dei quali condannati, e tra questi figurava anche l’ex ct Antonio Conte: condanna a 10 mesi, poi ridotta a quattro, e infine assoluzione nel 2016 per l’accusa di frode sportiva.

Ma a Londra dove Conte allena il Chelsea, la stampa inglese non gli ha perdonato queste vicende, ricordando che nel calderone di Scommessopoli c’erano finiti i difensori azzurri Bonucci e Criscito, quest’ultimo appena richiamato in Nazionale. Nel 2015 nel filoneaperto dalla Procura di Catanzaro, Dirty Soccer, i tesserati condannati sono stati 61. Nel frattempo è scesa in campo anche la Dda di Napoli con altri 10 arresti e quattro calciatori indagati.

A confermare che quando si va sul campo delle scommesse (anche quelle lecite, ma comunque incontrollabili in Rete), puntualmente interviene a piedi uniti la Gomorra del pallone. Pertanto una Federazione che si ritiene etica e responsabile non dovrebbe permettere che la sua Nazionale abbia come sponsor una società che invita all’azzardo. Anche perché, «la vita non è un azzardo, ma una chiamata ». E non l’ha detto Cruyff, bensì un altro amante del calcio pulito e responsabile, don Alessio Albertini.

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