mercoledì 20 maggio 2015
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La rabbia sta tutta in uno striscione, mostrato dalle giocatrici dell’Agsm Verona al pubblico dello stadio Bentegodi per celebrare lo scudetto del calcio femminile: “Noi donne indignate dall’ignoranza. Rispettateci!”. L’uscita fuori tempo del presidente della Lega Nazionale Dilettanti, Felice Belloli («Basta dare soldi a quattro lesbiche»), ha provocato scossoni di ogni ordine e grado. Fuori e dentro il campo. Oggi le 23 componenti della Lnd diranno la loro sul caso nel corso del consiglio di Lega. Per il numero uno della Federcalcio, Carlo Tavecchio, la mozione di sfiducia è l’unica soluzione possibile. Sulla stessa linea il pensiero di Melania Gabbiadini, trantaduenne capitano e bandiera dell’Agsm. Un altro salto nel buio del pallone di casa nostra. Lei, Melania, è più arrabbiata o delusa?«La frase è riportata sui verbali, non credo ci sia altro da aggiungere. Mi dispiace tantissimo che la donna venga ancora considerata in questi termini. A distanza di anni, si cade sempre su episodi del genere, che trovo veramente imbarazzanti. Quanto ha detto il presidente Belloli è gravissimo e non doveva e poteva passare inosservato». Da Tavecchio a Belloli. Come spiegare all’estero quanto sta accadendo al calcio italiano?«Sicuramente, all’estero rideranno di gusto, perché soltanto da noi succedono queste cose. Nel 2015 siamo ancora qui a discutere di esternazioni che non hanno alcuna ragione d’essere. Altrove, se ne fregano di quanto accade fuori del campo, perché lo sport viene prima di tutto. Sempre e comunque. Abbiamo perso un’altra occasione, peccato». A proposito di discriminazioni. Una donna con la maglia della nazionale tedesca calcia il pallone in lavatrice e poi avvia il lavaggio. Lo spot per promuovere il campionato europeo di calcio femminile 2013 in Svezia, mandato in onda dalla tv tedesca, ha scatenato molte polemiche in Germania...«Ma possibile che per fare pubblicità al calcio femminile sia necessario cadere nei soliti luoghi comuni? Tuttavia, in Svezia c’ero anch’io. E posso dire che l’organizzazione ha garantito una visibilità straordinaria a tutta la manifestazione». Con il titolo vinto qualche giorno fa con la maglia dell’Agsm Verona ha raggiunto quota cinque scudetti in carriera. Dove si trovano le motivazioni per stare sempre un passo davanti agli altri?«Le motivazioni si trovano giorno dopo giorno, prima e durante gli allenamenti e le partite. Tutto dipende da quanto lontano vuoi arrivare, dall’obiettivo che desideri raggiungere. Negli ultimi sei campionati, la squadra è sempre stata rivoluzionata. Non è mai stata all’altezza delle concorrenti. Quest’anno la società si è mossa bene sul mercato, acquistando ragazze di ottima qualità. Il traguardo era vincere lo scudetto e ci siamo riuscite». Nella stagione appena conclusa ha avuto ancora al suo fianco Patrizia Panico, 14 volte capocannoniere della Serie A. È riuscita a “rubarle” qualche segreto?«È da anni che cerco di rubarle qualcosa, la conosco da tantissimo tempo. Giocavamo assieme nel vecchio Bardolino Verona, poi ci siamo trovate in Nazionale. È una delle giocatrici italiane più rappresentative di sempre. Nonostante non sia più giovanissima (ha compiuto 40 anni a febbraio, ndr), è ancora la più brava di tutte. Poi è una persona pazzesca in campo e fuori. In area, è una giocatrice devastante, quando vede la porta, è raro che sbagli. Ecco, forse ho imparato a muovermi meglio negli ultimi metri». Esclusa perché non qualificata alle ultime quattro edizioni dei Mondiali e fuori della zona medaglie degli Europei dal lontano 1997. Cosa manca alla Nazionale italiana per affermarsi in ambito internazionale?«Manca la base. In Italia non c’è ancora la mentalità giusta per arrivare dove sono arrivati tanti altri Paesi. Non siamo valorizzate quanto servirebbe, non abbiamo le strutture per allenarci come fanno altrove. In più, non abbiamo mai avuto un settore giovanile, che potrebbe consentirci di crescere in modo esponenziale. Siamo ancora molto indietro, ma spero che il momento di crescita arrivi anche da noi». Negli Usa, in Germania e nei Paesi scandinavi il calcio in rosa è, invece, uno sport praticato da tanti e seguito da tantissimi... «All’estero, molte squadre femminili sono affiliate a quelle maschili e questo permette alle prime di avere una visibilità e un seguito che altrimenti non avrebbero. È un’organizzazione completamente diversa. In Italia si pensa soltanto al calcio maschile». Dove sta la differenza?«I sacrifici sono spesso molto simili. Anzi, a dire il vero le donne sono costrette a farne di più, perché a differenza dei professionisti uomini, molte giocatrici svolgono anche un altro lavoro. Finisce uno e inizia l’altro. Ed è chiaro che non può essere questa la condizione ideale per consentire al calcio femminile di fare il salto di qualità in ambito internazionale. Io lavoro come promoter e da poco mi occupo di tatuaggi, l’altra mia grande passione. Le differenze sul campo? Come è evidente, uomini e donne hanno una struttura fisica diversa, ma in quanto a tecnica ce la giochiamo». Già pensato a cosa farà quando non giocherà più?«Rimanere nel mondo del calcio sarebbe comunque molto bello. Magari per allenare una squadra di bambini, esperienza che ho già fatto in passato e mi è piaciuta moltissimo». Un giorno potrebbero proporle di guidare una squadra professionista maschile. La Morace ci provò con la Viterbese di Luciano Gaucci: non andò benissimo... «Se un’allenatrice dimostrasse di avere le competenze necessarie, non ci sarebbe nulla di male, anzi. Peccato che i pregiudizi abbiano spesso la meglio su tutto. Se in futuro dovesse capitarmi questa possibilità, ci penserò sicuramente». Dicono che suo fratello Manolo, da gennaio in forza al Napoli, sia destinato a diventare uno dei punti di riferimento della nuova nazionale di Conte. Ne è convinta anche lei?«Manolo è giovane e gioca in una squadra importante, ma deve continuare a crescere. Se lo farà, penso che si ritaglierà presto o tardi uno spazio importante in Nazionale». Il calcio, per i Gabbiadini è un affare di famiglia...«La nostra famiglia segue il calcio da sempre e credo che a me e Manolo questa passione ci sia appiccicata nel dna. Nessuno ci ha mai spinto a giocare al pallone. Abbiamo scelto di farlo perché ci piaceva. È la nostra passione, l’abbiamo sempre avuta. Quando era piccolo, Manolo mi seguiva sempre agli allenamenti e alle partite. Poi, è entrato nelle giovanili dell’Atalanta e ha cominciato a fare la sua strada. Ormai è impossibile che venga a vedermi giocare, con tutti gli impegni che ha, tra ritiri e partite...».
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