giovedì 12 gennaio 2012
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Fino allo scorso ottobre Sul concetto di volto nel figlio di Dio di Romeo Castellucci era "solo" uno spettacolo teatrale. Bello o brutto. Offensivo o meno. Ma solo uno spettacolo. Che aveva debuttato nel luglio 2010 a Essen per Theater der Welt e il 23 luglio 2010 in prima italiana alla Centrale Fies di Dro, raccogliendo peraltro critiche meno entusiaste di altri lavori della compagnia Socìetas Raffaello Sanzio, che l’ha messo in scena.Sostenuto da 19 tra teatri e festival del mondo (dal Barbican di Londra ai Festival di Barcellona e Avignone; dal Théâtre de la Ville di Parigi al Romaeuropa Festival) lo spettacolo da allora ad oggi ha girato Italia e Europa, arrivando anche nell’ottobre 2010 al RomaEuropafestival (Officine Marconi) e alla Biennale del teatro di Venezia, lo scorso ottobre.«Sul concetto di volto nel Figlio di Dio – spiegò il regista – non parla di Gesù né di adorazione, non ha un carattere sociale di denuncia e non vuole essere facilmente provocatorio. Il punto di partenza è questa idea di Gesù come modello non solo nel contesto religioso ma soprattutto sul piano artistico. (...). Gesù ora è scomparso (...) Ma questa scomparsa nella rappresentazione artistica è perfetta, l’assenza del volto di Gesù è come lo schermo bianco in una sala cinematografica prima che inizi la proiezione su cui tutto è possibile».Già, ma cosa avviene esattamente in questa rappresentazione che dura circa 50 minuti? Tutto, all’inizio, appare bianco. Asettico. Sembra un ospedale, forse è solo un appartamento minimalista, con un letto e un salottino. C’è un anziano signore, con accappatoio bianco, intento a guardare la tv. E c’è un figlio che si trova costretto ad accudirlo, in un crescendo drammatico e (volutamente) nauseante. Il padre, infatti, continua ad avere attacchi di dissenteria. L’odore degli escrementi invade la sala. Molti si turano il naso infastiditi («È il simbolo della condanna dei figli a pulire gli errori/orrori dei loro padri»). Da qui in avanti lo spettacolo prende un’altra direzione. «Il volto di Cristo, che fino ad allora aveva solo osservato, alla fine dello spettacolo si oscura di un liquido marrone, fino ad autodistruggersi, per poi lasciar spazio alla scritta You’re not my sheperd (Non sei il mio pastore)».Sostiene il regista: «Sulla scena, dominata dall’enorme volto del Cristo rinascimentale di Antonello da Messina, non si racconta Gesù come il figlio di Dio, oggetto di fede e di adorazione. Si restituisce piuttosto l’uomo, che guardiamo e dal quale siamo guardati. Voglio offrire un uomo messo a nudo davanti ad altri uomini, i quali, a loro volta, sono messi a nudo da quell’uomo».Eppure qualcosa che poteva offendere nello spettacolo c’era. Complici alcune scene, ora tagliate (dove venivano scagliati oggetti contro il volto di Cristo), alcuni spettatori francesi hanno ravvisato intenzioni blasfeme e hanno chiesto al Tribunal de Grande Instance di Parigi di fermarlo. Il tribunale ha dato loro torto. E ogni rappresentazione parigina è stata accompagnata da contestazioni. «Io non cerco vie brevi e odio la provocazione. Per questa ragione non posso accettare la caricatura e la spaventosa semplificazione che è stata data da queste persone» ha tuonato in quei giorni Castellucci, senza mai provare a fare un po’ di autocritica. «È completamente falso che si lordi il volto del Cristo con gli escrementi. Chi ha visto lo spettacolo ha potuto vedere la finale colatura di un velo di inchiostro nero scendere sul dipinto come un sudario notturno». Peccato che lo spettacolo di Castellucci (come da lui ammesso in alcune interviste) «può cambiare ogni sera». E nel frattempo, infatti, è cambiato. Ma al regista piace giocare al doppio ruolo di «provocatore» e di «vittima». Così, ha già annunciato una bella conferenza stampa per settimana prossima, quando lo spettacolo, per cinque sere, dal 24 al 28 gennaio, andrà in scena al Teatro Franco Parenti di Milano. Complice internet, facebook e mail c’è chi cerca ora di organizzare un sit-in e una preghiera contro le date milanesi di «questo spettacolo blasfemo».In un anno e mezzo è cambiato tutto: da semplice spettacolo, più o meno riuscito, Sul concetto di volto nel Figlio di Dio è diventato un «caso». Con i "soliti" cattolici confinati nella parte dei bigotti oscurantisti e i "soliti" laici nei panni dei paladini della libertà. Laici che provocano ma non si chiedono mai se le loro provocazioni rischiano di rimanere fini a se stesse e di offendere.
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