sabato 1 novembre 2014
​Martedì le elezioni di Midterm per il rinnovo del Congresso, repubblicani favoriti. E il presidente azzoppato: mai più donne con stipendi inferiori agli uomini.
Donne al lavoro, questione di classe di Massimo Calvi
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A tre giorni dalle elezioni di medio termine di martedì in cui i democratici rischiano di perdere anche il controllo del Senato, Barack Obama ha promesso politiche a sostegno del lavoro femminile e per favorire un'equiparazione degli stipendi rispetto agli uomini. "Anche se siamo nel 2014, ci sono donne che ancora guadagnano meno degli uomini per fare lo stesso lavoro. E in questo Paese non ci possono essere cittadini e lavoratori di serie B", ha avvertito il presidente americano nel suo tradizionale discorso radiofonico del sabato. "Facciamo in modo che abbiano identici stipendi quando svolgono un identico lavoro", ha insistito. "Al momento, le donne compongono quasi la metà dei nostri lavoratori. Sempre più donne costituiscono la principale fonte di reddito per le loro famiglie", ha ricordato Obama. "La semplice verità è che quando le donne hanno successo, l'America stessa ha successo. E dovremmo scegliere politiche che portino vantaggi alle donne, perché tutti noi ne traiamo beneficio". L'America frustrata alle urne: Obama innalza le barriere di Elena MolinariLe elezioni di rinnovo del Congresso Usa di martedì prossimo non solo decideranno quale partito – democratici o repubblicani – controllerà il Senato americano per i prossimi due anni. Offriranno anche l’opportunità di fotografare l’umore di un Paese sempre più insoddisfatto. Molti temi sono entrati con prepotenza nella campagna elettorale negli ultimi mesi: dalla riforma sanitaria di Barack Obama (Obamacare) all’ondata di baby immigrati centroamericani in Texas e Arizona, dagli scontri a sfondo razziale di Ferguson alla decapitazione di americani da parte dei jihadisti dello Stato islamico fino ai primi casi di ebola negli Stati Uniti. Ma più che i temi in sé, a dominare il dibattito è stato finora un generalizzato malcontento nei confronti di Washington e dell’amministrazione Obama. I repubblicani hanno cavalcato abilmente questa frustrazione, tanto da riuscire a far passare in secondo piano il fatto che l’economia, che Bill Clinton ci ha insegnato a credere sia il cardine di ogni vittoria alle urne, sia in robusta crescita negli Stati Uniti. Due terzi degli americani sono infatti convinti che il loro Paese sia sulla «via sbagliata», rivelano i sondaggi, e danno la colpa ai «politici » in Congresso e al presidente, che appare incapace di controllare un Congresso diviso, con la Camera in mano ai repubblicani e il Senato ai democratici. Con un’impopolarità di Obama al 56% tra gli americani intenzionati ad andare a votare, si profila quindi per i democratici il rischio di avere martedì la conferma dei loro peggiori timori: che gli elettori repubblicani, più motivati al voto, vadano massicciamente alle urne e regalino una consistente vittoria al Grand Old Party. Che potrebbe portare così a casa la maggioranza al Senato e rafforzare quella alla Camera. Non sarebbe un esito insolito per un presidente in carica. Clinton è stato infatti il primo capo della Casa Bianca dal 1945 ad oggi a non aver perso seggi al Senato durante il suo secondo mandato. I risultati finali probabilmente non saranno noti la prossima settimana, perché alcuni duelli, come in Louisiana e in Georgia, verranno decisi al secondo turno. Ma gli analisti sono pronti a scommettere che oltre a riprendersi il Senato, il Gop conquisterà anche 12 nuovi seggi alla Camera, arrivando quindi a 246, la maggioranza record registrata dai repubblicani dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale. Per ora la campagna ha già raggiunto un altro record: è stata la più costosa della storia Usa per un’elezione di metà mandato (così chiamata perché cade a metà del mandato presidenziale). Per influenzare la scelta degli elettori che sono chiamati a scegliere i nuovi membri della Camera, di un terzo del Senato e diversi governatori, partiti e altri gruppi hanno complessivamente speso circa quattro miliardi di dollari. A beneficiarne sono state soprattutto le emittenti televisive, che si sono spartite una fetta da un miliardo di dollari per mandare in onda spot dai toni incredibilmente negativi o palesemente falsi, tanto che il Washington Post non ha esitato a definirli «la feccia della nostra democrazia». Come quello in cui il repubblicano Bill Cassidy in Louisiana che rivolto alla telecamera afferma che la sua rivale democratica Mary Landrieu ha scelto gli immigrati illegali piuttosto che i veterani, anche se non c’è mai stato un voto del genere al Congresso e Cassidy ha in realtà votato per un taglio delle pensioni dei militari.  Visto il tono del dibattito politico e le pessime previsioni per il suo partito, Obama ha tentato di schierare i membri del suo gabinetto con l’incarico di diffondere il più possibile notizie sui risultati per promuovere «il messaggio economico positivo», ovvero la crescita dell’economia e dell’occupazione. Così, dal 6 ottobre, i ministri dei vari Dipartimenti hanno partecipato secondo i dati della Casa Bianca a ben 81 eventi in 46 città diverse. Il partito di Obama ha cercato anche di ricatturare l’elettorato afro-americano, puntando in questi ultimi giorni di campagna sull’uccisione dell’adolescente nero Trayvon Martin due anni fa e del diciottenne Michael Brown quest’estate a Ferguson. Una mossa che molti analisti vedono come disperata. In effetti nulla sembra cambiato i sondaggi. L’unica domanda con cui i democratici si avvicinano al voto di martedì riguarda l’entità delle perdite che subiranno. La maggioranza degli elettori americani ne sarà soddisfatta. Il rischio che non sembrano considerare, secondo molti analisti, è che un Parlamento in mano ai conservatori e un’amministrazione liberal renderanno ancora più difficile che da Washington emerga qualcosa di costruttivo nei prossimi due anni.
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