martedì 14 aprile 2015
​Padre Claudio Marano è stato accusato da un presunto 007 "pentito" di aver avuto parte nel complotto che ha portato alla morte di 3 religiose.
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Sono le storie maledette del piccolo Burundi. Scritte prima con le armi del fango, della menzogna e della calunnia per confondere. E colpire la società e le persone che lavorano per la pace e poi, dopo, detonare quelle vere di armi, le pistole e i mitra, mirare per uccidere. E non ce da stupirsene, di questi tempi, è già accaduto nel passato, mentre si avvicina il preoccupante traguardo delle elezioni presidenziali che si svolgeranno a giugno. Nel Paese africano aumenta la tensione sull’esile filo su cui regge la convivenza civile, e da sempre steso sulla fossa oscura di una possibile nuova guerra civile. Il clima politico è avvelenato, e oscuri, forse non troppo, commandos armati infiltrano le frontiere dal Congo.  Intanto che si hanno notizie del ritrovamento di arsenali di armi pesanti, nascoste sulle colline che fanno da corona alla capitale Bujumbura e pronte all’uso, secondo quanto riferito da fonti di polizia, da una rete terroristica composta da burundesi e da non meglio specificati soggetti stranieri. Alla vigilia del voto che già infiamma forti tensioni perché il presidente uscente, Pierre Nkurunziza, intende modificare la costituzione per candidarsi per un terzo mandato, la storia ora ruota attorno al brutale triplice omicidio delle suore Olga Raschietti, Lucia Pulici e Bernadetta Boggian, rimasto un mistero, e tira in ballo niente di meno che un missionario dello stesso ordine e che è una immagine di riferimento non soltanto per i suoi quasi 45mila iscritti, nel corso degli anni, al suo Centro giovanile di Kamenge (Centre Jeunes Kamenge), che accoglie giovani di tutte le etnie e religioni e che fa crescere sul sentiero della pace e della convivenza, ma la sua è una immagine conosciuta a livello internazionale, essendo stato insignito nel 2002 del Nobel alternativo Right Livelihood award e ringraziato da Nelson Mandela per l’opera di pace svolta in Burundi.  Il dito accusatore dello 007 pentito cade niente di meno che su padre Claudio Marano. Boom.  Il religioso «è stato visto in un locale pubblico parlare con persone che successivamente hanno decretato la condanna a morte delle tre religiose: da eliminare perché testimoni di un traffico di armi e di pietre preziose con il vicino Congo e perché in un ospedale di frontiera dove le tre suore prestavano la loro assistenza si presentavano per farsi curare miliziani filo governativi responsabili di violenze e intimidazioni criminali per incendiare il clima elettorale», questa in sostanza è la storia raccontata dall’agente pentito. Non a un giudice, però, ma a una radio locale il cui direttore era stato anche arrestato, storia resa dallo 007 mentre si trovava in Somalia al seguito della missione multinazionale africana. Ora è stato rimpatriato e si trova in carcere. Lo spione pentito si è dichiarato complice di una commando che ha eseguito l’orribile massacro delle tre missionarie saveriane italiane, uccise nel quartiere di Kamenge a Bujumbura, nelle loro stanze adiacenti la parrocchia dedicata a san Guido Maria Conforti, la notte del 8 e la mattina del 9 settembre. Ad appena 500 metri dal Centre Jeunes di Kamenge di cui le suore erano di casa. In carcere c’è anche l’uomo che è stato accusato del triplice omidicio: un malato di mente. Padre Claudio Marano è profondamente turbato da questa vicenda e pensa di vederne le radici nel velenoso clima politico che intossica l’opera di pace e riconciliazione che da 25 anni persegue con il suo Centro giovanile: «L’unico male che posso avere fatto è sempre stato quello di parlare di pace con i nostri ragazzi e qualcuno ora, forse, vuole vendicarsi. Non a caso, stiamo anche raccogliendo le firme, aiutati dall’Onu, perché si svolgano elezioni pacifiche e senza armi». Padre Claudio racconta di quella sera che era andato in un bistrò a Bujumbura perché doveva parlare con un suo collaboratore: «È stato il classico trovarsi nel posto sbagliato nel momento sbagliato». Per di più in un locale di proprietà di un militare dei servizi.  «Mi sento come quando c’era la guerra. Restare vigili e andare avanti incoraggiando i nostri giovani, sperando che un giorno questo incubo finisca. La gente mi è vicina ed è convinta che quanto sta accadendo è contro di noi è contro il Centro è contro la pace in Burundi».
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