sabato 1 agosto 2015
​Relazione della Corte dei conti relativa agli ultimi anni: meccanismo distorsivo. Colpiti soprattutto gli abitanti delle grandi città.
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Dal 2011 al 2014 la pressione fiscale dei comuni è cresciuta del 22%, passando dai 505,50 euro pro capite del 2011 fino ai 618,4 dell'anno scorso. È quanto rileva la Corte dei conti nella "relazione sugli andamenti della finanza territoriale". Inoltre, sempre secondo la Corte dei conti, in cinque anni, tra il 2010 e il 2014, i comuni hanno subito tagli per circa 8 miliardi di euro. La magistratura contabile sottolinea, in via generale, che i livelli massimi di riscossione tributaria pro capite si registrano nei comuni di fascia alta (oltre 249mila abitanti i cui valori sono pari a 881,94 euro per abitante e quelli che vanno da 60.001 a 249.000 abitanti con 694,69 euro per abitante). A seguire i comuni della fascia più bassa (da 1 a 1.999 abitanti) con 628,80 euro per abitante. "Per bilanciare la riduzione dei trasferimenti correnti dallo Stato, gli enti locali hanno inasprito la pressione fiscale - spiega la Corte dei conti - grazie, peraltro, a una disciplina del patto di stabilità interno ancorata al criterio dei saldi finanziari; mentre le Regioni, non potendo azionare la leva fiscale in mancanza di sufficienti spazi finanziari concessi dal patto per spese aggiuntive, hanno compresso le funzioni extra-sanitarie e sacrificato, soprattutto, le spese di investimento". La Corte spiega che "il radicarsi di un meccanismo distorsivo, per cui il concorso degli enti locali agli obiettivi di finanza pubblica pesa, in ultima istanza, sul contribuente in termini di aumento della pressione fiscale, trova origine nei pesanti e ripetuti tagli alle risorse statali disposti dalle manovre finanziarie susseguitesi dal 2011, cui fa eco il cronico ritardo nella ricomposizione delle fonti di finanziamento della spesa, necessaria per garantire servizi pubblici efficienti ed economici".
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