venerdì 24 ottobre 2014
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Per parecchie ore, mercoledì, è sembrato l’attacco di un commando organizzato, capace di mettere in scacco l’apparato di sicurezza del placido (e forse impreparato) Canada.  L’allarme terrorismo islamico ha subito fatto il giro del mondo, amplificato da ogni rimbalzo, con nuovi particolari, sui media internazionali. Il nuovo giorno ha portato più chiarezza, un po’ di sollievo, ma lascia anche prospettive e domande inquietanti. Michael Zehaf-Bibeau ha agito da solo. Ha assassinato un soldato che aveva un’arma scarica prima di venire a sua volta ucciso. Convertito all’islam, una storia personale e familiare complicata alla spalle, ha tentato il clamoroso gesto di colpire il Parlamento e lo stesso primo ministro Harper, probabilmente senza un piano ben studiato né realistiche probabilità di successo. Non un vero kamikaze, questo trentaduenne con problemi di droga e precedenti per reati comuni, né un fondamentalista indottrinato. Forse solo un giovane confuso e alla ricerca di un 'ruolo' capace di dargli visibilità e importanza. Aveva messo in conto di non sopravvivere alla sua azione? È possibile. Certo, non aveva preparazione logistica né militare. Ed era già sulla lista dei sospetti jihadisti, tanto che gli era stato ritirato il passaporto dopo un viaggio in Libia. Stesso discorso per Martin Ahmad Rouleau, l’altro convertito che lunedì ha travolto deliberatamente con la sua auto un soldato a Montreal.  Siamo probabilmente di fronte a individui suggestionati dal messaggio estremista ed eccitati dal fenomeno Califfato, con i suoi efferati delitti trasmessi via Web, tra orrore e spettacolo. Terroristi fai-da-te, quindi meno pericolosi dei Mohamed Atta degli attacchi dell’11 settembre, ma un pericolo costante, una spina nelle società aperte e tolleranti. Il quesito riguarda in questa fase i mezzi con cui difendersi.  Serve forse una censura più decisa per evitare che il contagio delle gesta malate dell’Is arrivi a tanti giovani incapaci di resistere al fascino perverso del jihad?  Bisogna essere meno garantisti rispetto a misure di sicurezza preventive? Gli attentatori canadesi, come detto, erano già stati individuati. L’intelligence aveva lavorato bene. Ma è lecito limitare la libertà personale di qualcuno solo sulla base di indizi e comportamenti sensibili? Il radicalismo nemico della democrazia e dei principi liberali tenta di infliggerci anche questa sconfitta: la rinuncia, in nome della paura, alle garanzie e alle tutele che ci caratterizzano. Non si può cedere su questo fronte di civiltà. Ma non si può nemmeno abdicare alle legittime esigenze di sicurezza. Questo è il dilemma che ci consegna il doloroso episodio di Ottawa.
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